Nello scontro sulla legge elettorale riassunti tutti gli elementi di una continua crisi di nervi
di S.D.C.
Un brutto fine di Legislatura. Come l’inizio, del resto, quando il premier incaricato, Pierluigi Bersani, “vittorioso ma sconfitto”, cercava invano di creare una maggioranza di governo. Poi sappiamo com’è andata e come è continuato: tra scontri ricorrenti, defenestrazioni e vendette, scissioni e avvicinamenti, sconfitte e nuove battaglie. L’addio di Enrico Letta, l’arrivo trionfante di Matteo Renzi, l’ “assalto” affatto condiviso alla Carta Costituzionale, il referendum, il tentativo di abbassare i toni di Paolo Gentiloni. Tentativo che sembrava quasi riuscito fino all’ultima querelle parlamentare, che ha richiamato i momenti referendari. E che promette ormai di trascinarsi anche nei prossimi giorni, in attesa del voto del Senato, ed oltre sia che (probabile) il Rosatellum 2.0 ce la faccia sia che (più difficile ma non del tutto improbabile) i franchi tiratori abbiano la meglio sul rettilineo. Insomma, un brutto fine di Legislatura frutto però del guaio originario, la mancanza di una maggioranza definita, a fronte di un altro imperfetto sistema elettorale. Con il che si ritorna al punto di partenza.
In realtà, nessuno tra i contendenti ha ragione e nessuno torto. E la verità, come sempre, sta nel giusto mezzo. Ieri sera, nel corso di uno dei tanti talk show politici televisivi, proprio Bersani a domanda rispondeva che il Mattarellum sarebbe dovuta essere la strada più affidabile da imboccare. Salvo dimenticare che proprio questa era stata la via iniziale imboccata da Renzi che, però, non aveva trovato la necessaria maggioranza per procedere. Tra veti incrociati e imboscate, era inevitabile che, alla fine, sotto l’occhio attento del Quirinale, un ultimo tentativo sarebbe stato perseguito a fronte di una maggioranza favorevole a sostenerlo. Non dimentichiamo infatti che la semplice omogeneizzazione dei due sistemi elettorali attualmente in vigore per Camera e Senato presentava a sua volta non poche incognite di merito e di forma oltre che rischi di impantanarsi, per le medesime ragioni, con ulteriori gravi contraccolpi, questa volta certi, sulla tenuta istituzionale del Paese.
Si poteva fare di meglio? Certamente sì. Si poteva fare prima senza attendere lo scorcio di Legislatura con il Parlamento già da tempo in campagna elettorale? Ovviamente sì. Nel caso il Senato bocciasse la proposta, ci sarebbero ancora modi e tempi per intervenire? Ne dubitiamo fortemente, nonostante le rassicurazioni provenienti dal manipolo degli oppositori, perché ricordiamo bene quanto si affermò più volte prima e dopo il referendum, al riguardo: “Entro sessanta giorni, se si vuole, si potrà fare una nuova legge elettorale condivisa…”. Ecco, appunto, se si vuole…
Adesso cosa ci aspetta? Al netto del passaggio a Palazzo Madama, i giochi sembrerebbero fatti. Rapido scioglimento delle Camere, votazioni tra febbraio e marzo. Una durissima campagna elettorale nella quale in pochi diranno la verità su un “dopo” che, quasi sicuramente, non rivelerà, di nuovo, un vero vincitore. Colpevoli tutti, indistintamente, anche quelli che si dicono da sempre “fuori dai giochi della politica”. Perché affermandolo ne fanno, evidentemente, già parte.