Toscanaccio, fucecchiese, classe 1909, 22 Aprile, da ragazzo sognavi il padule ed i barchini, l’esplorazione in mezzo ai canneti, il silenzio delle distanze ravvicinate ma lontane dietro ai beccaccini ed ai germani, al cesto, alle albe grigie, alle figure dai contorni non delineati. Il magico mondo , parole tue, del Padule di Fucecchio che tanto hai sempre cercato e ricercato e che da girovago tanto ti ha fatto sentire il tradimento delle tue radici.
“Questa terra è stata la mia vita, quando voglio ritrovare me stesso vengo qui su questi poggi, il paese mio è questo, l’ho nel sangue, a Firenze sono già all’estero”.
Sanguigno, controverso, di padre anticlericale e madre pia, Indro Alessandro Raffaello Schizogene Montanelli “io appartengo ad una tipica famiglia italiana”. Senza mezzi termini, tuo padre ti voleva diplomatico, ”menomale che non l’ho fatto sennò chissà quante crisi diplomatiche avrei fatto scoppiare!”. Giornalista giramondo, professionista per vocazione, per quattro decenni uomo simbolo del Corriere della Sera, per venti anni direttore de Il Giornale. Essenziale, chiaro, comunicativo, Indro, poco socievole, avverso ad ogni forma di mondanità, “per me portarmi in un salotto è come darmi la purga“. Ahi, come ti capisco, Indro, meglio andar sempre a letto presto per chi come noi questo mondo non diverte né piace, “ci sto perché ci debbo stare, sono un memorialista devo conoscerlo”.
E tu lo hai raccontato, puntualmente ad ogni appuntamento con il lettore, con successo. Il pubblico ti ha seguito dovunque tu sia andato: “ho un certo rapporto con il lettore perché io, nonostante una laurea in legge ed una in scienze sociali, non sono un uomo di cultura, ho solo cultura storica che aggiorno continuamente”. Hai scritto del popolo, quello strano a cui appartenevi: “l’Italia è un paese corporativo in cui soprattutto la cultura è corporazione con un suo linguaggio: l’uomo di cultura italiano parla solo all’uomo di cultura, con un gergo comprensibile solo alla gente della sua corporazione ed il pubblico ne rimane escluso”.
Per te i tuoi lettori meritano di essere elevati ad elite: “Il pubblico non conosce la storia perché nessuno gliel’ha raccontata non a caso il successo dei miei libri è l’atto di accusa contro una cultura che non ha saputo raccontare agli italiani nemmeno la sua storia”. E gli hai dato giù rude, grezzo, sul tuo Giornale: niente cronaca nera, niente elenchi delle massaggiatrici, niente sensazionalismo, niente scandalismi, niente sport: “i problemi non sono quelli del campionato perché i problemi sono seri, ma nell’essere seri devono essere spiegati bene”.
Ecco cosa significa elevare il lettore ad élite nonostante come dicevi tu i tuoi libri non fossero molto fatui eppure lo appassionavano. Il problema è tutto nel linguaggio: “se riusciamo a spiegare le cose con linguaggio semplice, il lettore segue perfettissimamente, il lettore ha fame di cultura in Italia perché nessuno gliel’ha data, la cultura si è chiusa nella torre eburnea, ha orrore del contatto col pubblico”, insomma, via, una cultura di cretini per dirla con parole tue, perché una cultura che perde il contatto col pubblico, con la vita, si sterilisce e muore.
Parlavi come scrivevi e scrivevi come parlavi. Rapido, asciutto, incisivo. Di te dicevi: “smetteranno di discutermi quando sarò morto”, in questo o non c’hai azzeccato, o forse morto non lo sei. Però è vero, la tua eredità, sei Tu.
Buon compleanno Indro, chissà magari lo festeggerai nel tuo amato giardino dei ciliegi, con l’altro te stesso, più vecchio di te, pieno di rughe come la casa natia logorata dal tempo, laggiù passate “Le Calle”, immerso nel profumo del roseto di nonna Ida, senza rimorso.
*foto tratta dal sito http://www.vicini.to.it/vicini/