Dopo la vittoria in Sicilia e la spinta dei sondaggi, rimangono i nodi su programma e leadership. E il panorama potrebbe cambiare…
Passata l’euforia per la vittoria di Nello Musumeci alle regionali siciliane e assimilati i primi sondaggi che, a pochi mesi dalle elezioni Politiche, vedono il “Rosatellum 2.0” sorridere allo schieramento, è di nuovo tempo di riflessioni per il centrodestra.
Al di là delle minimizzazioni dei vari leader, sono ancora lungi dall’essere risolte le divergenze tra le strategie di Silvio Berlusconi, Matteo Salvini e Giorgia Meloni. Il nodo di fondo, infatti, continua ancora a essere l’incompatibilità tra il profilo moderato ed europeista di Forza Italia e la linea sovranista-populista di Lega Nord e Fratelli d’Italia, alla quale fa da contorno la galassia di piccoli partiti (su tutti, Udc e Movimento Animalista) che a inizio 2018 potrebbero accompagnare sulla scheda le forze conservatrici. Se possibile, il successo ottenuto in Sicilia ha rafforzato le convinzioni di tutti i protagonisti in campo, che ritengono a questo punto di essere gli unici ad avere le carte giuste per conquistare Palazzo Chigi.
Da un lato, infatti, Berlusconi ha fatto a tutti gli effetti il proprio ritorno al centro della scena (sul fronte comunicativo, con alcune interviste televisive e mediante l’apertura di un account Twitter) in versione “usato sicuro”, proponendosi come l’unica garanzia possibile di fronte (a suo giudizio) ai fallimenti del Pd e alla minaccia per il sistema rappresentata dal Movimento 5 Stelle, che nella dialettica dell’ex Cavaliere sembra aver preso il posto un tempo riservato ai “comunisti”. Il fondatore di Fi è convinto che una campagna elettorale condotta in prima persona lo porterà a vincere la sfida dei voti con gli alleati-avversari, dal momento che nessuna personalità del centrodestra potrebbe vantare il suo curriculum politico. Non è quindi un caso che l’ex premier abbia scelto di puntare su una linea nella quale convivono responsabilità istituzionale (con richiamo al popolarismo europeo, dal quale sembrava essere stato estromesso) e istanze dirette ai cittadini colpiti dalla crisi economica (si pensi alla proposta di aumentare le pensioni minime, già avanzata nel 2001).
Dall’altro, il tandem Salvini-Meloni non sembra disposto a recedere dalla convinzione che le elezioni non si vincano più al centro, tanto che sarebbero già in cantiere delle nuove operazioni “alla Musumeci” per i candidati presidenti di Lazio, Friuli e Molise, dove nel 2018 si tornerà alle urne a ridosso o in contemporanea con le Politiche. I massimi esponenti di Lega e Fdi, al contrario, sembrano aver messo nel mirino i consensi di destra “dormienti” e la grande quota di cittadini astenuti perché disillusi. In quest’ultimo senso, non ci sarebbe da stupirsi se Matteo Salvini, accanto ai consueti temi legati a sicurezza e immigrazione, insistesse su toni fino a qualche anno fa definibili come “anti Casta”, in modo da pescare nel bacino del Movimento 5 Stelle (additando, se necessario, i cattivi risultati delle Amministrazioni di Roma e Torino). In altri termini, tutto tranne che idee “moderate” per il Paese.
Sebbene la nuova legge elettorale permetta la presentazione di programmi distinti anche alle forze tra loro coalizzate, è indubbio che da qui a breve per il centrodestra arriverà il momento di risolvere sia la questione delle proposte da sottoporre ai cittadini (l’accordo sulla “flat tax”, in questo senso, potrebbe non bastare) che il tema della premiership, sul quale inevitabilmente inciderà la pronuncia della Corte europea dei diritti dell’uomo sull’incandidabilità di Silvio Berlusconi (sentenza attesa per il 22 novembre) .
Quali che siano le scelte delle prossime settimane, nell’Italia del 2018 per vincere non basterà una semplice riedizione della Casa della libertà, a maggior ragione se a una vittoria dovesse seguire la formazione di un Esecutivo segnato dai contrasti tra partiti, come avvenuto nelle Legislature 2001-2006 e 2008-2011. Gli schieramenti rivali, con tutta probabilità, arriveranno all’appuntamento elettorale in condizioni migliori di quelle attuali, e non è neanche da escludere che un esito incerto del voto porti a una dissoluzione della coalizione conservatrice per permettere una riedizione delle larghe intese.