Dopo due anni e mezzo di stop, “con un occhio al caso Fillon”, ora scandali e sentenze potrebbero accelerare il provvedimento
È stato calendarizzato per domani, in Commissione Lavoro alla Camera, il seguito della discussione della legge che disciplina la figura del collaboratore parlamentare. Il dibattito infatti si era fermato il lontano 15 ottobre 2014, dopo una riunione di Comitato Ristretto che vedeva sul tavolo tre proposte di legge: Gnecchi (PD), Airaudo (Sel) e Baldassarre (all’epoca M5S, ora in Alternativa Libera). Allora la relatrice era Monica Gregori, che nel frattempo ha cambiato sia gruppo (ora in Sinistra Italiana) che commissione (Trasporti). Al suo posto ci sarà Marco Miccoli (PD), che dovrà confrontarsi anche con un testo di Dorina Bianchi (AP) arrivato a inizio 2016.
Ma chi sono i collaboratori e perché necessitano di una legge ad hoc? Quelli che il grande pubblico conosce come “portaborse” sono figure molto importanti per il lavoro di deputati e senatori, che si preoccupano di gestire una varietà di aspetti della loro vita politica: dall’addetto stampa al consulente legislativo, dal social media manager alla gestione dell’agenda. Non ne esistono però tracce consistenti nei regolamenti, nonostante siano loro ad occupare fisicamente le centinaia di uffici dei parlamentari sparsi tra Montecitorio e Palazzo Madama. L’unica disciplina è quella in merito al rimborso delle “spese per l’esercizio del mandato”: 3690€ alla Camera, circa 4000€ al Senato, metà dei quali forfettari e metà da certificare. Tra i documenti da depositare ci sarebbe proprio il contratto con il collaboratore. Alla Camera, Bertinotti la impose come condizione per rilasciare il tesserino che dà accesso alle strutture di Montecitorio.
Qui si ferma la normativa. Nessuna limitazione dal punto di vista dei legami (anche parentali) con chi viene assunto e pagato con soldi pubblici, nessuna norma sul rapporto di lavoro, lasciato all’accordo fra le parti, o sulla gestione della retribuzione, degli oneri fiscali e contributivi. In questo modo, come denunciato da tempo dall’AICP – Associazione Italiana Collaboratori Parlamentari, questi assistenti finiscono per rappresentare una categoria altamente specializzata (secondo un recente sondaggio interno, oltre la metà possiede un titolo di formazione post-laurea) ma assolutamente precaria, con contratti atipici e retribuzioni che in media non superano i 1100€ netti al mese. L’Associazione aveva recentemente sollecitato la Commissione Lavoro a riprendere la discussione, visti anche alcuni fatti recenti in Italia e all’estero.
Non è passato inosservato infatti lo scandalo che ha colpito (e forse compromesso) il candidato presidente francese Francois Fillon, accusato di aver assunto e pagato per anni i propri figli come collaboratori parlamentari, addirittura in età scolare. Più recente ma di minor eco è la sentenza che ha definito illegittimo il licenziamento del collaboratore di un deputato M5S, riconoscendo inoltre la subordinazione del rapporto di lavoro. Il Parlamento Europeo, invece, ha regole precise in merito, e stipula direttamente i contratti con i collaboratori di stanza a Bruxelles.
Le quattro proposte di legge ora sul tavolo della Commissione hanno molti punti in comune. Il rapporto fra parlamentare e collaboratore è quasi sempre definito “fiduciario” e dunque la tipologia contrattuale lasciata alle parti. La durata naturale del contratto però sarebbe quella della legislatura;sono previsti parametri minimi di retribuzione, e lo stipendio, oneri fiscali e contributivi inclusi, sarebbe detratto automaticamente dai fondi del parlamentare e pagato al collaboratore dalla Camera di riferimento, ma senza entrare in alcun modo nell’organico del Parlamento. Alcune prevedono un Codice Etico e un albo dedicato. Soprattutto, le proposte contengono il divieto di assumere parenti entro un certo grado (secondo, terzo, quarto) se si vuole usufruire dei fondi pubblici.
Insomma, una piccola rivoluzione per le centinaia di professionisti (veri) della politica parlamentare, con finalmente un inquadramento, un limite alla precarietà e alla possibilità che il lavoro nero entri fra le mura delle massime assemblee elettive. E contemporaneamente una norma di civiltà che prevenga scandali e parentopoli. Unico fattore negativo, il tempo: riuscirà il testo ad essere approvato da entrambe le Camere entro la fine della legislatura? Le sirene del voto a ottobre squillano forti con la legge elettorale in discussione. Per riuscire a far emergere questo provvedimento fra i mille rimasti aperti non basterà una corsa contro il tempo: servirà volontà politica.