Tempo fa, rispondendo durante un incontro a una domanda proveniente dal pubblico, Valerio Massimo Manfredi chiariva da par suo un equivoco in cui è facile incorrere quando si parla di Roma antica.
È facile – diceva riferendosi ai Romani – affermare che in fondo la loro magnificata civiltà non fosse poi tanto “civile”. Guerre, schiavitù, spettacoli basati sul sangue…Erano poi, questi decantati conquistatori, tanto migliori dei popoli presunti barbari che sottomettevano? La risposta, tutto sommato, resta ancora sì, almeno nella maggioranza dei casi. E per due motivi molto semplici.
Non solo, in termini di abitudine alla violenza, essi non avevano nulla da invidiare ai primi; a fare la differenza, c’è il lascito di tante pagine cruente di storia, che in quella romana è costituito dal diritto, dal sapere tecnico, dalla lingua, dalla ricapitolazione di tanto pensiero classico.
È dunque da questo episodio che trae spunto il nuovo volume dell’archeologo e divulgatore modenese, “Come Roma insegna”, saggio divulgativo scritto assieme al figlio Fabio ed edito da Pienogiorno. Un testo che ,con le sue 224 pagine di exempla, si pone in aperta contro tendenza con il mood attuale diffusosi tra presunti “esperti”, per cui la cultura classica e il mondo antico non sarebbero altro che fasi non troppo rilevanti, se non addirittura negative (!) della vicenda umana.
Per Manfredi, al contrario, tutt’oggi Roma insegna, resta maestra, almeno nella misura in cui – negli episodi alti e tragici come la disfatta di Canne, così come negli aspetti bui e ambigui della sua storia quali la sanguinosa passione gladiatoria, gli uomini moderni possono leggere ancora qualcosa di sé, facendone una chiave per interpretare la realtà contemporanea. Una concezione umanistica che è poi quella che sottendeva agli ideali rinascimentali, e che Manfredi riprende donandole la precisione storica e la piacevolezza del continuo rimando con altre epoche, con altri fatti, in un gioco di specchi che mostra tanto l’immutabilità di quel legno storto che è la natura umana, tanto la possibilità, per chi vuole, di fornirsi degli strumenti per imparare dai comuni sbagli.
Qualcuno sbufferà adesso: retorica.
Ebbene, la risposta migliore a tale obiezione è domandarsi: ma è davvero inutile – polveroso, desueto – provare a leggere la Storia con occhiali che non siano quelli banali e anonimi di una contemporaneità che sembra incapace di interpretare tutto quanto è diverso da sé stessa? Se cercate la risposta, tra le pagine di “Come Roma insegna” ne troverete più di una.