Prende il via in Senato l’esame del provvedimento già approvato dalla Camera. Ma il traguardo è ancora lontano. Il “nodo” blind trust
Dopo più di un anno dalla sua approvazione in prima lettura alla Camera dei Deputati, il testo contenente le nuove norme in materia di conflitto di interessi dei titolari di cariche di governo si affaccia in Senato per proseguire il suo iter.
Un percorso che si preannuncia, però, tutto in salita. Quello licenziato da Montecitorio nel marzo 2016 è risultato essere un testo con poche luci e molte ombre, la cui versione finale è riuscita a scontentare tutti. Innanzitutto il Movimento 5 stelle, per il quale le norme approvate sono troppo blande. Non così per Forza Italia, secondo la quale le disposizioni appaiono, invece, troppo severe. Trovare un giusto compromesso adesso è compito di Palazzo Madama, che domani inizierà l’esame del provvedimento in Commissione Affari costituzionali.
Punto di partenza è, ancora una volta, la legge “Frattini” del 2004 che, in materia di risoluzione di conflitto di interessi, aveva già dettato una prima disciplina, in verità poco organica. Nelle nuove previsioni si amplia notevolmente la platea dei soggetti interessati, prima limitata ai soli ministri, vice ministri e sottosegretari, oltre naturalmente al Presidente del Consiglio. Le nuove norme in discussione si applicheranno, adesso, anche ai parlamentari, consiglieri regionali e componenti delle Autorità indipendenti, con una curiosità: ne rimarrà escluso il solo Presidente della Repubblica, figura non compresa tra i titolari delle “cariche politiche” individuati dal disegno di legge.
Secondo le nuove disposizioni, si riterranno in potenziale conflitto di interessi tutte le partecipazioni rilevanti possedute dal titolare di cariche di governo nei settori della difesa, del credito, dell’energia e delle comunicazioni, nonché nelle opere pubbliche, nell’editoria e nella pubblicità.
Nell’ipotesi legislativa in questione si rafforza il regime delle incompatibilità per i titolari di poteri pubblici, oltre ad una più stretta procedimentalizzazione della gestione dei casi concreti di conflitto attraverso tassativi obblighi di dichiarazione delle attività patrimoniali di cui si è titolari, il tutto accompagnato da specifiche sanzioni amministrative per gli eventuali inadempimenti.
Vera novità del provvedimento all’esame del Parlamento è la possibilità di definire la posizione conflittuale in maniera “preventiva”, sulla falsariga di quanto accade negli Stati Uniti: l’assegnazione, da parte di chi vuol governare, di tutte le proprie attività economiche oggetto di conflitto di interessi a un soggetto terzo e indipendente, un c.d.“fondo cieco”, che provvede all’amministrazione dei conferimenti per conto del legittimo titolare, salvo poi restituirei beni una volta cessata la carica.
In verità, quella all’attenzione del Senato è una versione un po’ edulcorata di blind trust anglosassone. Il provvedimento prevede, in caso di conflitto di interessi, il trasferimento di tutti i beni e le attività patrimoniali del soggetto verso una “gestione fiduciaria” ad opera di una banca o una società di intermediazione mobiliare scelta dall’AGCM. Se l’Antitrust, invece, dovesse stabilire che anche l’ipotesi di gestione fiduciaria non offra adeguate misure di garanzia potrà ordinare la vendita dei beni del soggetto interessato.
La partita è appena iniziata e già, tra gli addetti ai lavori, si auspica un “ammorbidimento” del testo in esame, soprattutto e proprio in tema di blind trust. Con il desiderio forse di realizzare, più che un fondo cieco, un vicolo cieco.