Scongiurati (per ora) gli scenari di crisi imminente, è il momento che il Governo e la maggioranza che lo sostiene cambino marcia ed escano dalle sabbie mobili. Il rischio recessione è concreto, e le sfide che attendono l’Italia non ammettono ulteriori indecisioni
Tanto tuonò, che alla fine non piovve. Così si potrebbe sintetizzare l’epilogo, quantomeno momentaneo, dello scontro tra Matteo Renzi e Giuseppe Conte, di cui ci eravamo occupati la settimana scorsa sottolineando le difficoltà nel trovare una spiegazione logica alle mosse dell’ex premier.
Dopo la tanto attesa intervista del leader di Italia Viva nel salotto televisivo di Porta a Porta, il Governo sembra per ora al riparo da scenari di crisi imminente, per quanto il combinato disposto tra i nuovi ultimatum sulla prescrizione (“se Bonafede non cambierà entro Pasqua la sua riforma, verrà sfiduciato”) e le sfide lanciate su riforme istituzionali ed economia (“Conte abolisca il reddito di cittadinanza e destini i soldi al taglio delle tasse sulle imprese”) lasci immaginare che il logoramento avviato da Renzi nei confronti degli alleati-avversari sia destinato a continuare.
A prescindere dall’eventuale chiarimento dei rapporti tra renziani da un lato e Partito Democratico, Movimento 5 Stelle e Liberi e Uguali dall’altro, il quadro nazionale e internazionale in cui i si trova a operare il Conte II risulta alquanto complesso, e le prospettive non sembrano essere rosee. Solo per citare due tra i numeri arrivati nei giorni scorsi, la crescita del Pil italiano nel 2020 è stata stimata allo 0,3% dalla Commissione Ue, e il livello del debito pubblico alla fine del 2019 ha superato, nelle stime fornite da Banca d’Italia, la quota di 2.400 miliardi di euro, in crescita di oltre 28 miliardi rispetto all’anno precedente. In termini più chiari, il rischio che il Paese finisca in stagnazione o recessione è concreto, e ancora non sono chiari gli effetti che la diffusione del coronavirus e le perduranti difficoltà del mercato automotive tedesco avranno nei prossimi mesi su settori cruciali per le nostre attività produttive.
Di fronte a uno scenario di questo tipo, e alle sfide che nell’immediato l’Italia sarà chiamata a giocare sul palcoscenico europeo (su tutte, le trattative sul Bilancio Ue 2021-2027 e l’avvio dei negoziati con il Regno Unito sul post Brexit), risulta indispensabile che l’Esecutivo e la maggioranza che lo sostiene cambino marcia ed escano dalle sabbie mobili in cui si trovano ormai invischiati, tra vertici notturni e polemiche a intermittenza. Per avere una prova dell’attendibilità di questa affermazione, è sufficiente osservare l’andamento dei lavori parlamentari delle ultime settimane: nelle Aule di Camera e Senato la parte del leone l’hanno fatta gli iter di conversione di Decreti Legge (talvolta consumati a colpi di voti di fiducia, come nel caso del DL Milleproroghe), mentre le Commissioni di Montecitorio e Palazzo Madama sono state per la maggior parte del tempo impegnate in cicli di audizioni, talvolta nemmeno propedeutici alla discussione di Disegni di Legge.
A distanza di quasi un mese dalle elezioni in Emilia-Romagna e Calabria, si sono tenuti a Palazzo Chigi i tavoli per la definizione dell’Agenda 2023 con cui il Presidente del Consiglio intende dare al proprio Governo un orizzonte di Legislatura. Lo stesso Conte ha annunciato di aver raccolto numerosi spunti di interesse, sulla cui base tra qualche giorno annuncerà un piano di ripartenza per il Paese, da egli definito “cura da cavallo”. L’auspicio è che, da qui in avanti, il confronto politico all’interno della maggioranza e tra essa e le opposizioni si svolga su argomenti che per la vita dei cittadini abbiano un peso superiore (con rispetto parlando) a quello dell’elezione diretta del Presidente del Consiglio, delle intercettazioni telefoniche, del blocco della prescrizione o del destino di reddito di cittadinanza e ‘Quota 100’ sulle pensioni.
Se invece dovessero perdurare le attuali indecisioni, dopo la celebrazione del referendum costituzionale sul taglio dei parlamentari (in programma per il prossimo 29 marzo) e l’approvazione delle conseguenti modifiche alla legge elettorale l’opzione migliore sarebbe ridare il prima possibile la parola agli elettori. Senza usare giri di parole, dopo circa due anni dalle Politiche del 4 marzo 2018 è tempo che Parlamento e Governo inizino a operare al massimo delle rispettive capacità, e che i leader agiscano una volta per tutte di conseguenza, anche prendendo atto di non essere in grado di garantire stabilità al sistema.