C’è un non so che di effimero che nasconde la decadenza, ma il regista è Giuseppe Conte, non di certo un genio da premio Oscar. Eppure, il Movimento 5 Stelle è alla spannung della sua sceneggiatura. Occorre, a questo punto, una scelta registica che possa svoltare l’intero plot.
Due le ipotesi in vista del summit che si terrà oggi a Palazzo Chigi fra Mario Draghi e Giuseppe Conte: uscire dal governo o restarci con tutte le scarpe. Non sono ammesse sfumature di grigio, se non un iniziale appoggio esterno che dovrebbe poi – necessariamente – trasformarsi in qualcosa di più definito. Insomma, il M5s è dinanzi ad un aut-aut. O questo o quello.
Luigi Di Maio, creatore di ‘Insieme per il futuro”, potrebbe aver sancito la fine o il rilancio del partito di Grillo. Con la sua mossa, infatti, potrebbe aver messo il Movimento nelle condizioni di uscire definitivamente dal perimetro parlamentare che sostiene Mario Draghi.
Uscire vorrebbe dire avere la libertà di fare un’opposizione vera, e non effimera ed ibrida come quella in essere, figlia di un modus operandi tipico della campagna elettorale permanente: i partiti sono così liquidi ed i consensi così volatili che, seppur al governo, bisogna coccolare il proprio elettorato a suon di battaglie e slogan.
Nulla di nuovo e, seppur moralmente opinabile, nulla di strano oggigiorno. Scegliere questa ipotesi, abbracciando la libertà che ne conseguirebbe, potrebbe mettere il Movimento 5 Stelle nelle condizioni di risalire – un minimo, almeno – la china in termini di consenso. Tatticamente sensato, ad un anno dalle elezioni politiche.
Conte, d’altronde, vive con una spada di Damocle sulla testa: quella della polverizzazione del suo partito. Il trend non conforta e, oltretutto, porta alla luce un grave problema dell’ex premier: non essere stato in grado di trasformare l’alto consenso intorno alla sua figura, in consenso per il M5s. D’altronde, in politica, uno più uno non sempre fa due.
Ma il Movimento 5 Stelle, ormai costola dell’establishment, può permettersi una mossa di questo tipo? Nonostante i possibili vantaggi tattici – almeno sulla carta, perché poi vanno comunque condotti con dovizia – è probabile che Beppe Grillo possa essere costretto a non poter avallare una simile soluzione. La quale, a nostro giudizio, avrebbe anche un altro problema di fondo: Giuseppe Conte non sembra un leader capace di aizzare i venti dell’antipolitica, capace di picconare un governo.
Parliamo del premier della pandemia, quello dei summit infiniti a Bruxelles, quello che si è detto “avvocato del popolo”. Certo, direte voi, uno che si è riposizionato dalle note cromatiche gialloverdi a quelle giallorosse potrebbe essere in grado anche di questa nuova trasformazione. Eppure, siamo dubbiosi. Non vediamo, in Conte, una voce capace di agitare gli elettori contro i “cattivoni” al governo. Per quello, come ha detto Renzi, servirebbe un Di Battista. Ultimo baluardo del celodurismo grillino. Ma guai a dirglielo.
Probabile, dunque, che tutte le bocce resteranno ferme fino al 2023. In questo silente clima di campagna elettorale fatto di minacce di uscita dal governo che appaiono, per lo più, un adattamento politico del vecchio detto “A lupo, a lupo”.
È tutto sedimentato sotto la coperta dell’imbarazzo dello stare al governo. Bla bla bla. Altrove, c’è l’opposizione. Ma questo M5s, non si occupa dell’altrove. Dunque, che questo ultimo anno di legislatura abbia inizio. In fondo, è solo un trucco. Sì, è solo un trucco.