Intervento della Commissione europea contro i big di Internet, adesso ritenuti direttamente responsabili dei contenuti pubblicati on line. Perché l’autodisciplina del web è fallita
di Alessandro Alongi
Non più di un’ora di tempo per rimuovere i post giudicati «estremisti». Responsabilità diretta delle piattaforme digitali di quanto viene scritto nelle loro pagine, vigilanza attiva volta ad evitare la ricomparsa di contenuti illeciti, a cui si aggiungono le pesanti multe in caso di ritardi nella cancellazione dei contenuti.
Tempi duri per Facebook, Google, Twitter & C., alle prese con la nuova determinazione dell’esecutivo di Bruxelles, deciso più che mai a mostrare i muscoli. È sempre più certa l’imminente intenzione della Commissione europea di presentare al Parlamento una nuova proposta di legge volta ad incidere pesantemente sulla libera circolazione di messaggi terroristici sul web, proposta che dovrebbe vedere la luce già nella seconda metà di settembre.
È lo stesso Commissario alla sicurezza, il britannico Julian King, a manifestare al Financial Times le preoccupazioni degli inquilini del Berlaymont secondo i quali immagini e video di incitamento alla violenza terroristica, soprattutto di matrice islamica, «continuano a proliferare attraverso internet, ricomparendo da un’altra parte una volta cancellati dall’altra, e diffondendosi da piattaforma a piattaforma».
Da qui la necessità di un provvedimento legislativo volto ad obbligare gli operatori di Internet a vigilare e rimuovere ogni contenuto inneggiante non solo al propaganda terroristica, ma anche ogni pubblicazione capace di incitare alla violenza e all’odio, specie se xenofoba e razzista.
Ma le polemiche per il giro di vite non si sono fatte attendere. Da più parti cresce il timore che, seppur a fini antiterroristici, a breve la rete potrebbe soggiacere ad una nuova stretta intergovernativa anche su altri temi, cosa che aprirebbe la strada a possibili (e inaccettabili) censure di natura politica al web, a detrimento dei diritti e dei principi fondamentali sanciti in molte sedi, non ultima quella della Nazioni unite.
Ma la Commissione tira dritto per la sua strada, varcando le Colonne d’Ercole dell’autoregolamentazione del web, approccio finora concesso ai social network e basato sulla vigilanza volontaria dei contenuti pubblicati dagli utenti da parte degli stessi operatori. L’esperimento, nella sostanza, si è rivelato insufficiente. Da qui la necessità di ribaltare la logica finora usata, con il l’introduzione di specifiche regole non più autoprodotte dall’interno, ma imposte dalle Istituzioni tramite provvedimenti normativi ad hoc.
È la stessa Corte dei Conti dell’Unione europea a decretare il fallimento dell’autoregolamentazione del web ai fini antiterroristici, stando a quanto messo nero su bianco nel Rapporto sulla lotta alla radicalizzazione, un j’accuse in piena regola: «la Commissione non è in grado di dimostrare la reale efficacia delle singole delle azioni di contrasto alla radicalizzazione al terrorismo», non potendo dare evidenza delle numeriche in grado di sancire l’efficacia delle azioni per quanto riguarda la quantità di propaganda terroristica che rimane su Internet. Secondo un sondaggio promosso dalla stessa Corte, uno dei problemi cui è confrontata l’European Union Internet Referral Unit (l’unità addetta alle segnalazioni su Internet dell’Europol) è che la propaganda rimossa viene semplicemente ricaricata o spostata su altre piattaforme (quello che la Corte definisce «caccia del gatto al topo»).
L’impegno della Commissione UE contro i colossi del web è solo l’ultimo atto di una guerra di trincea contro lo strapotere delle tech companies. In passato lo stesso Commissario King si era scagliato contro le fake news e preso parte al dibattito intorno allo scandalo legato alla fuga di dati di Cambridge Analytica, sostenendo come la nuova frontiera del diritto deve necessariamente essere adeguata alla nuova minaccia informatica, ormai tesa a «manipolare il comportamento, approfondire le divisioni in seno alla società, sovvertire i nostri sistemi democratici e sollevare dubbi sulle nostre istituzioni democratiche».
Il countdown è già partito. La Commissione teme che, in vista delle prossime elezioni europee del maggio 2019, un Internet senza briglie possa condurre ad un’inondazione di bufale digitali e minacce terroristiche, a vantaggio di populisti ed euroscettici, tanti «buoi» ormai fuoriusciti da un «recinto digitale» che adesso – forse – verrà chiuso.