Nuove classi sociali, moltiplicate le disuguaglianze. La fotografia del Paese nel rapporto annuale
di Ernesto Bonetti
Il rapporto annuale 2017 pubblicato dall’Istat disegna un quadro estremamente complesso della situazione del Paese. Probabilmente i dati più significativi sono quelli relativi al lavoro, alle diseguaglianze, all’invecchiamento della popolazione, ai cambiamenti della società civile e delle classi sociali.
Partendo dal lavoro, l’Istat certifica di fatto un aumento dell’occupazione. Nel 2016 il numero dei disoccupati diminuisce dello 0,7% e il tasso di disoccupazione scende dall’11,9% del 2015 all’11,7%. Si registra anche una riduzione del numero di inattivi che si attestano ai 13,6 milioni di unità. E qui finiscono le buone notizie. L’istituto di ricerca, infatti, certifica che nel 2016, nel nostro Paese, si contano circa 3 milioni 590 mila famiglie senza redditi da lavoro, il che vuol dire che in questi nuclei familiari non c’è nessuno che genera reddito attraverso il lavoro o la pensione. La percentuale più alta è nel Mezzogiorno con il 22,2%. Queste famiglie sono in crescita rispetto al 2008 che erano 3 milioni 172 mila.
Qualitativamente diminuiscono operai e artigiani (meno 0,5%) mentre è esponenziale la crescita del lavoro part-time (dal 2008 le unità aumentano di quasi un milione) e quello in somministrazione cresce del 6,4% su base annua. Dall’analisi del rapporto sono forse proprio i cambiamenti in atto nel mondo del lavoro che contribuiscono a determinare le diseguaglianze: si legge nel rapporto che “La diseguaglianza sociale non è più solo la distanza tra le diverse classi, ma la composizione stessa delle classi“, infatti “la crescente complessità del mondo del lavoro attuale ha fatto aumentare le diversità non solo tra le professioni ma anche all’interno degli stessi ruoli professionali”.
Come nei classici periodi di crisi economica c’è un assottigliamento della classe media che si schiaccia per larga parte su di un livello più basso determinando, di conseguenza, profondi cambiamenti in termini di consumi. Le famiglie con redditi più bassi infatti concentrano le proprie spese sui consumi primari mentre quelle con redditi più elevati hanno maggiori possibilità di spesa in servizi culturali, viaggi, ristorazione ecc. Al di là delle questioni economiche e di quelle reddituali che giocano comunque un ruolo decisivo nella determinazione della crisi del ceto medio, quello che più colpisce è una vera e propria crisi culturale.
Le classi (in particolare quella operaia e quella della piccola borghesia) secondo l’Istat hanno perso l’“identità di classe”, perdita “legata alla precarizzazione e alla frammentazione dei percorsi lavorativi”. A seguito di questa disgregazione e perdita d’identità, l’Istat ridefinisce nuovi gruppi sociali che si sono formati: la classe operaia per metà è confluita in quella che l’istituto chiama dei “giovani blue-collar”, composto da molte coppie senza figli, e “per la restante quota nei due gruppi di famiglie a basso reddito, di soli italiani o con stranieri”. Anche la piccola borghesia si distribuisce su più gruppi sociali, in particolare “tra le famiglie di impiegati, di operai in pensione e le famiglie tradizionali della provincia”. Secondo l’Istituto “la classe media impiegatizia è invece ben rappresentabile nella società italiana, ricadendo per l’83,5% nelle ‘famiglie di impiegati'”. Ultimo dato interessante, è il progressivo invecchiamento della popolazione con la perdita di giovani (1,1 milioni nell’ultimo decennio), natalità a zero e con una quota di 65enni pari al 22%.
Ciliegina sulla torta, dei giovani rimasti, quasi sette under 35 su dieci vivono ancora nella famiglia di origine.
In definitiva la fotografia scattata dall’Istat è quella di un Paese sostanzialmente fermo, che non riesce a rassicurare le famiglie e i giovani verso il futuro e che non imprime un’accelerata alla natalità. Un paese che fa fatica ad inseguire i cambiamenti e refrattario alle trasformazioni imposte da una rapida evoluzione del mondo del lavoro. Un Paese di impiegati e pensionati che spesso riescono a sostenere nuclei familiari in difficoltà economica e rappresentano, in molti casi, l’unica forma di sostegno a giovani disoccupati.