Dall’associazione degli industriali è arrivato un quadro negativo sui conti pubblici: nel 2019 crescita zero e netto calo di consumi e investimenti. In attesa del Def, la prossima Legge di Bilancio si annuncia complicata per le scelte sugli aumenti dell’Iva
Debito pubblico, crescita del PIL e politiche fiscali sono tre fattori che si condizionano l’uno con l’altro e, in un certo qual modo, formano la reputazione – economica e finanziaria – di un Paese. Una combinazione, non di certo alchemica e oscura, ma anzi chiara e assodata per chiunque mastichi un po’ di economia. Figuriamoci per chi guida una delle principali potenze economiche mondiali. Ma occorre andare con ordine.
Nel corso di ogni singolo anno di Legislatura l’obiettivo di un Governo in materia economica dovrebbe essere contenere la spesa della Pubblica amministrazione e quindi il debito pubblico, adottare politiche fiscali, economiche e misure che stimolino i consumi e dunque impattino positivamente sulla crescita del PIL.
O almeno perseguire una delle tre vie che, come anticipato, sono strettamente correlate.
Una linea guida molto semplice e forse un po’ semplicistica ma che rende l’idea: ridurre il debito, far crescere il PIL, realizzare politiche fiscali e provvedimenti che spingano i consumi e quindi la ricchezza prodotta dallo Stato.
Nello scenario attuale, in Italia qualcosa non sta funzionando. La crescita del PIL è pari allo zero, si discute sui decimali (e non solo da oggi) ma ne sono convinti Ocse, Fondo Monetario Internazionale, Bankitalia, Commissione europea e le tre principali agenzie di rating, giusto per elencarne qualcuno.
Per contro il debito ha raggiunto livelli record, superando quota 2300 miliardi di euro, con una crescita di circa 3 miliardi al mese nel corso del 2018 per una percentuale superiore al 130% del PIL. Lo Stato è inoltre costretto a mettere mano al portafogli, se non a “prosciugare” le risorse, per finanziare il debito e pagare le cedole dei titoli pubblici in circolazione che, stando alle ultime stime, dovrebbero costare circa 70 miliardi di euro solo quest’anno. Da ultimo, gli strumenti per le politiche fiscali scelti dal Governo sembrano poter dare un contributo esiguo alla crescita.
A sancire tutto ciò è arrivato il rapporto di previsione economica pubblicato mercoledì 27 marzo da Confindustria, un documento semestrale che inquadra gli scenari economici della Penisola e non solo, e che ha visto la gestazione allungarsi, rispetto alla tradizionale pubblicazione di fine anno, fino alla primavera.
Probabilmente anche l’associazione delle imprese si è trovata in una certa difficoltà a fronte di un’analisi così nefasta. Oppure si tratta di singolari stramberie degli industriali, anzi, quasi certamente.
Quel che conta è che sia stato diffuso e che tutte le previsioni fosche all’orizzonte siano state abbondantemente confermate.
Senza girarci troppo attorno, Confindustria vede l’Italia “ferma” e senza prospettive di crescita nel prossimo biennio.
Il rapporto del Centro studi degli industriali parte dalla scorsa Legge di Bilancio, poco orientata alla crescita e senza provvedimenti votati alla riduzione del deficit, guidata da due misure non molto efficaci, grandi bandiere in campagna elettorale ma poco convincenti all’atto pratico, ovvero Reddito di Cittadinanza e Quota 100.
In particolare il Reddito di cittadinza viene visto dagli industriali come uno strumento di politica fiscale dall’esiguo contributo alla crescita, e invece di ampio impatto sui conti pubblici, con inoltre le “conseguenze indesiderate” di un rialzo dei rendimenti sovrani e di una ricaduta negativa sulla fiducia delle imprese.
Già, le imprese. Imprese paralizzate, con una fiducia in caduta libera dallo scorso luglio, che non daranno un contributo al PIL alla voce che risponde a “investimenti privati” sicuramente nel corso del 2019 e difficilmente nel 2020.
Poco male, ci penseranno sicuramente le esportazioni a riequilibrare le cose, considerato l’appeal del Made In Italy conclamato in tutto il mondo. Peccato che l’export da solo non basti, il Belpaese paga lo scotto delle importazioni energetiche e le due voci si annullano o si sbilanciano a favore dell’import.
Inoltre, le tanto decantate misure espansive degli scambi internazionali si scontreranno con le scelte protezionistiche degli Stati Uniti e i dazi voluti dal presidente Trump, che per adesso riguardando soltanto acciaio e alluminio (e quindi valgono poca cosa per l’Italia), ma che se si estendessero anche al comparto dell’automotive, traino industriale anche negli anni della Grande Crisi, potrebbero comportare conseguenze ben peggiori.
Restano le famiglie, i cui consumi valgono circa il 60% del PIL. Ma i consumi privati sono indissolubilmente legati all’IVA, con le clausole di salvaguardia miliardarie che scatteranno dal 2020. Qui si va incontro a un qualcosa che definire rompicapo pare più che riduttivo. Aumentare l’IVA, come previsto dalle clausole, di circa 3 punti percentuale sulle varie aliquote, comporterebbe un impatto immediato sui consumi che hanno bisogno di tutto fuorché di essere frenati.
D’altra parte, disinnescarle completamente, anche se con effetti recessivi meno diretti, farebbe schizzare il deficit oltre il 3% del PIL, provocando il crollo della fiducia degli investitori, preoccupando i creditori, aumentando i rendimenti dei titoli di Stato e violando, tra l’altro, il tetto fissato dal trattato di Maastricht.
Quindi è probabile che nel corso di quest’anno gli italiani tenderanno all’effetto “spiazzamento”, rallentando le spese e trasferendo parte dei redditi nei risparmi. Nel 2020, invece, con l’IVA in forte aumento e la crescita dei prezzi si verificherà un’inversione di tendenza, con un’erosione del risparmio per sostenere i consumi abituali. In buona sostanza, un patto con il diavolo avrebbe implicazioni meno drastiche e risvolti più ragionevoli.
In questo scenario si assottiglia il conto alla rovescia per la presentazione del Def, il tanto atteso Documento di economia e finanza che dovrebbe spiegare al Parlamento e al Paese gli obiettivi della prossima manovra, ed è probabile che nel Dicastero di via XX Settembre le mani siano incerte nel redigere, e soprattutto firmare, il documento.