“La delibera dichiarativa dello stato di emergenza adottata dal Consiglio dei ministri il 31.1.2020 è illegittima per essere stata emanata in assenza dei presupposti legislativi, in quanto non è rinvenibile alcuna fonte avente forza di legge, ordinaria o costituzionale, che attribuisca al Consiglio dei Ministri il potere di dichiarare lo stato di emergenza per rischio sanitario”. E’ quanto si legge in uno stralcio di una illuminata e fondamentale sentenza del Tribunale penale di Pisa, in composizione monocratica (n. 1842 dell’ 8.11.2021), le cui motivazioni depositate in queste ore vogliamo mettere a disposizione dei nostri lettori.
La tesi relativa all’illegittimità dei decreti Covid, attraverso i quali il governo Conte ha gravemente compromesso alcuni diritti fondamentali dei cittadini, era stata ampiamente anticipata sulle pagine di Lab Parlamento. I nostri dubbi li abbiamo rappresentati fin da subito, analizzando in maniera tecnica e giuridica i fondamenti (inesistenti) sui quali si reggevano tali atti fortemente limitativi delle libertà fondamentali, limitazioni per giunta perpetrate nei mesi, nel silenzio assordante della politica ma anche dell’opinione pubblica.
I tre imputati per violazione, fra l’altro, dell’art. 650 c.p. (“inosservanza dei provvedimenti dell’Autorità”), poi assolti per il medesimo capo di imputazione, avevano violato il rigido lockdown imposto con il DPCM 9 marzo 2020, poi prorogato e reso ancora più stringente in forza dei successivi DPCM.
La sentenza integrale, in possesso di Lab Parlamento, nella sua parte motiva è indubbiamente dirompente, ben articolata e congeniata, oltre che estremamente puntuale e riprende una precedente giurisprudenza del medesimo ufficio giudiziario (sentenza 419 del 17 marzo 2021), oltre quella del Tribunale civile di Roma (ordinanza della VI sezione civile del Tribunale di Roma del 16.12.2020).
I DPCM si basavano su decreti-legge che a loro volta si fondavano sulla deliberazione dello stato di emergenza del Consiglio dei ministri del 31 gennaio 2020.
La statuizione scardina il percorso normativo un passo alla volta, facendo il cammino a ritroso.
Il DPCM come provvedimento amministrativo monocratico del Presidente del Consiglio non può incidere su diritti costituzionalmente protetti, spettando soltanto alla legge o ad un atto ad essa equiparato (decreto-legge o legislativo) la possibilità di limitare, ad esempio, il diritto di mobilità.
I due decreti-legge che hanno consentito a Giuseppe Conte, Presidente del Consiglio dell’epoca, di emanare DPCM sono stati il 6/2020 e il 19/2020. Il secondo ha sostituito il primo perché lo stesso Governo si è reso conto che il decreto-legge 6/2020 costituiva una completa “delega in bianco” ad un provvedimento amministrativo di “fare ciò che voleva delle libertà e dei diritti degli individui”.
Il secondo decreto legge, 19/2020, anche se specifica meglio l’ambito di azione dei DPCM, non toglie il fatto – come giustamente afferma la sentenza in esame – che quanto stabilito dai DPCM doveva essere contenuto unicamente in un decreto legge, alla luce della necessità della riserva assoluta di legge laddove si arginino sensibilmente i diritti della persona e le sue libertà fondamentali.
Anche il decreto-legge 19/2020, al pari di quello precedente che ha sostituito (6/2020), è illegittimo per invalidità derivata. Illegittimo il d.l. 6/2020, illegittimo il susseguente (e subentrante) d.l 19/2020 per le medesime ragioni: nella sostanza v’è stata una attribuzione di poteri troppo ampia del Governo al Presidente del Consiglio, legittimato ad emanare DPCM che hanno compiuto limitazioni di amplissima latitudine di diritti e libertà.
Ma ancora prima, la motivazione contesta la stessa legittimità della prima delibera dello stato di emergenza del 31.1.2020 (e delle conseguenti ripetute procrastinazioni).
Il fenomeno epidemico-pandemico era (ed è) previsto nella legislazione sulla istituzione della protezione civile (d.lgs. 1/2018), base normativa della già citata delibera? Il Tribunale di Pisa risponde chiaramente con un diniego.
A tale proposito vengono richiamate argomentazioni molto simili a quelle vergate dal sottoscritto sulle pagine del nostro quotidiano il 7 settembre scorso e che qui riporto: “La calamità naturale, pertanto, non ha nulla a che fare con l’epidemia-pandemia. Il Legislatore, nel redigere un testo onnicomprensivo sulla Protezione civile come il d.lgs. 1/2018, non avrebbe dovuto indicare, almeno una volta, il rischio epidemico fra quelli a causa dei quali occorre intervenire, previa dichiarazione di stato di emergenza comunale, regionale o nazionale?”.
“Curioso che il Legislatore citi nel dettaglio l’inquinamento marino all’art. 24, comma 8, d.lgs. 1/2018, ma non faccia alcun riferimento all’epidemia. Certamente non è credibile inserire il plesso epidemia-pandemia nella locuzione “rischio igienico-sanitario”, ex art. 16, comma 2, d.lgs. 1/2018. Il rischio igienico sanitario – di competenza delle ASL – individua e valuta i fattori di rischio chimico e biologico, oltre le relative misure di prevenzione e protezione per la salute dei lavoratori, dei consumatori e degli utenti, nonché le misure di sicurezza per la salubrità degli ambienti di lavoro e professionali, di ristorazione, intrattenimento e commercio, degli edifici e delle strade a partire dalla raccolta e gestione dei rifiuti e, infine, degli alimenti e dei prodotti eno-agro-gastronomici. Dentro i piccoli argini del rischio igienico sanitario – di competenza legislativa esclusiva delle Regioni – vogliamo cooptare le dimensioni nazionali ed internazionali di una pandemia, di spettanza normativa esclusiva dello Stato? Sappiamo che la realtà è scioccante, ma non esisteva – e, quindi, non esiste – alcuna base normativa per la dichiarazione dello stato di emergenza nazionale per rischio epidemico“.
Nel momento in cui il presupposto venga a mancare (dichiarazione dello stato di emergenza), vengono meno i provvedimenti normativi di urgenza, svuotando di legittimità, di rimando, i DPCM, già in realtà contrassegnati da invalidità per essersi occupati di materie spettanti solo alle leggi, ai decreti-legge o ai decreti legislativi: proibizione di uscire di casa se non per motivi tassativi o, persino, di essere padroni in casa propria, limitati nel numero di persone da poter invitare.
E’ mio auspicio che un passo successivo sia dare attuazione all’impostazione giurisprudenziale impressa dall’ordinanza della Cassazione a sezioni unite n. 36373 del 12 ottobre 2021, che fa intravedere la possibilità di ricorrere in sede giudiziaria civile per accertare un illecito (extracontrattuale) causato dalla predisposizione o dalla mancata rimozione con decreto legge di una disposizione normativa, integrante l’inadempimento di obblighi costituzionali, unionali o internazionali, e condannare al risarcimento danni gli organi statali convenuti.
Dopo tanto silenzio finalmente i giudici stanno battendo un colpo riguardo alle costanti e clamorose violazioni giuridiche a cui abbiano assistito in questo ultimo biennio.
Prima del provvedimento giudiziario in esame del Tribunale penale di Pisa, una vera e propria sentenza che ci si augura passi in giudicato, hanno detto la propria, seppur per ora solo in sede cautelare, anche i giudici amministrativi: l’ordinanza del Tar Lombardia n. 192 del 14.2.2022 di reintegro in servizio di alcuni operatori sanitari (ordinanza che ha anche rimesso alla Consulta la questione di legittimità costituzionale dell’obbligo vaccinale per costoro); il decreto cautelare n. 919 del 14 febbraio 2022 del Tar Lazio di reintegro in servizio dei ricorrenti militari sospesi perché inottemperanti all’obbligo vaccinale; i decreti cautelari nn. 721, 724 e 726 del 2 febbraio 2022, sempre del Tar Lazio, che hanno ripristinato le retribuzioni dei ricorrenti agenti di polizia penitenziaria non vaccinati nonostante l’obbligo di legge.
Mi auguro che la giurisprudenza ponga la parola “Fine” a questo stalking normativo, anche se sarebbe più saggio e costituzionalmente corretto che sia il medesimo legislatore a rimuovere – come sta accadendo negli altri Paesi europei – tutte le c.d. misure “anti-Covid”, in realtà poste in essere, ancor prima che avverso la Costituzione, il diritto eurounitario ed i trattati internazionali, contro lo stesso senso di umanità.