Di Alessio Caiaffa
Negli ultimi giorni si è creato parecchio scompiglio nel mondo dei concorsi pubblici e delle migliaia di candidati ambiziosi che lo popolano. È stato infatti pubblicato in Gazzetta ufficiale il D.L. 44/2021 che prevede, tra le altre, disposizioni specifiche dedicate ai concorsi pubblici allo scopo di accelerare – condivisibilmente – i tempi per il reclutamento del pubblico impiego. Una riforma che dovrebbe sbloccare l’iter di oltre 60 concorsi per 125mila posti di lavoro nella Pubblica Amministrazione, al quale puntano certamente milioni di giovani.
L’idea cui si è pervenuti è particolarmente avvilente se si considera che da adesso (e fintanto che non saranno apportati emendamenti) le pubbliche amministrazioni potranno prevedere preselezioni per titoli ed esperienza professionale per i concorsi futuri post Covid che avvantaggerebbero solo alcuni candidati (i più titolati, appunto) a scapito della platea generale dei concorsisti, formata anche da diplomati e neolaureati.
Inoltre, si potrà prevedere, per i concorsi bloccati a causa della pandemia, una preselezione per titoli che possa anticipare o accompagnare l’unica prova scritta successiva assieme ad eventuale orale. A partire dal 2020, infatti, ci sono centinaia di bandi di concorso bloccati a causa della pandemia e dall’impossibilità di creare gli inevitabili assembramenti che verrebbero fuori nei padiglioni delle fiere oppure nelle sale di un palacongressi.
Così come formulato, il DL sembrerebbe essere particolarmente discriminatorio nei confronti dei tanti giovaniche non hanno avuto la possibilità di ottenere titoli a sufficienza e superare “il test di un algoritmo” che dovrà decidere chi potrà sedersi in sede d’esame per svolgere le prove e chi no. In altre parole, mentre prima avrebbero potuto avere una (pari) chance 10 o 20 mila candidati in sede di prova preselettiva, al momento potrebbero essere chiamate a svolgere le prove solo 500 o 1.000 persone, scelte sulla base delle esperienze pregresse in P.A., del voto di laurea, di titoli accademici e di alta formazione e via discorrendo.
Lo svolgimento dei concorsi per titoli, che non sono una novità, ha avuto già un enorme seguito negativo – impressionando anche l’opinione pubblica – in occasione degli ultimi bandi di concorso pubblicati dal Ministero della giustizia e “avallati” dal DL Rilancio 2020: basti pensare che nel concorso da 2.700 cancellieri esperti l’età media dei concorrenti – sfoltiti tramite i suddetti titoli a dir poco proibitivi – si aggira intorno ai 55 anni.
Generalizzare una tale forma di reclutamento, scavalcando finanche le normative di base che scandiscono chiaramente le fasi dei concorsi pubblici quali prove preselettive, scritte, pratiche e orali, produce un senso di ingiustizia sociale che porta i giovani diplomati e neolaureati a perdere ogni speranza sul proprio futuro e sulla propria capacità di riuscita.
Sul web è forte anche l’appello a Mario Draghi che, in occasione del discorso inaugurale del mandato alle Camere, ha chiaramente parlato di giovani, di nuove generazioni, di futuro e capacità di ambire a un posto di lavoro pubblico: tutte speranze, queste, che con questa riforma dei concorsi vengono negate di sana pianta. Si sono levate migliaia di proteste – al momento solo virtuali causa pandemia Covid-19 – con l’intento di ostacolare la conversione in legge della disposizione di cui all’art. 10.
Il futuro delle nuove generazioni non può essere condizionato dall’eventualità di aver avuto meno opportunità rispetto ad altri: si andrebbero così a ledere non solo l’art. 3 della Costituzione nella parte in cui tratta di uguaglianza sostanziale, di fatto non garantita, ma anche altre disposizioni come, ad esempio, l’articolo 4 sul diritto al lavoro e l’articolo 97 che prevede il concorso come unica modalità di accesso al pubblico impiego.
La speranza dei concorsisti è quella di fare in modo che le Istituzioni rivedano il sistema di accesso e di reclutamento, con l’auspicio che ci si possa focalizzare sulla semplificazione delle procedure senza intaccare, però, le ambizioni, gli anni di studio e di sacrifici portati avanti da chi sogna il posto pubblico.