Da due mesi una nuova ondata di Covid-19 sta travolgendo la Cisgiordania, aggiungendo ulteriore pressione a un sistema sanitario già fragile. Oltre 20.000 pazienti sono in trattamento e lo staff medico sta lottando per fornire cure adeguate a un crescente numero di persone. A rendere noti i numeri di questa emergenza umanitaria è Medici Senza Frontiere. “Sia il governo israeliano che le autorità palestinesi, come assoluta priorità, devono immediatamente aumentare gli sforzi per rallentare la diffusione del Covid-19 e delle sue varianti, osserva Medici Senza Frontiere (MSF) che chiede maggiori sforzi per la prevenzione e la gestione dei casi”.
“Abbiamo raggiunto il più alto numero di casi dall’inizio della pandemia”, dichiara il dott. Juan Pablo Nahuel Sanchez di MSF, che lavora in terapia intensiva a Hebron. “Attualmente all’ospedale di Dura a Hebron, unica struttura per pazienti Covid-19 nel sud della Cisgiordania, abbiamo 71 persone ricoverate, di cui 27 in terapia intensiva. L’ospedale sta operando oltre le sue capacità. Non ci sono spazi, letti o personale a sufficienza per aiutare tutti pazienti in condizioni critiche e le persone stanno morendo”.
Hebron è uno dei governatorati più colpiti in Cisgiordania. MSF è in azione per supportare l’ospedale formando il personale, curando i pazienti, sensibilizzando le comunità locali sul Covid-19 per ridurre la diffusione del virus. “La percentuale di giovani positivi al Covid-19 è aumentata notevolmente. Un terzo dei pazienti ricoverati all’ospedale di Dura ha tra i 25 e i 64 anni, mentre prima la maggior parte dei pazienti aveva più di 64 anni” aggiunge il dott. Sanchez di MSF.
Secondo il Ministero della salute palestinese, circa il 75% dei casi in Cisgiordania sono causati dalla variante inglese B117, ritenuta più contagiosa di circa il 50% rispetto ai ceppi precedenti. Gli studi rivelano che con il 40-60% in più di probabilità, questa variante può portare a forme gravi di Covid-19, che richiedono terapie con ossigeno e ventilazione, con un maggiore rischio di morte. Si devono intensificare anche i test per capire quanto siano diffuse le varianti.
Anche a Nablus, nel nord della Cisgiordania, la situazione è preoccupante. L’ospedale Palestinian Red Crescent Society (PRCS) è saturo e sta trasformando l’unità per le cure respiratorie in un reparto Covid-19.
“Stiamo facendo del nostro meglio per salvare tutti” dice Marius Sanciuc, infermiere di MSF in azione nella terapia intensiva dell’ospedale PRCS. “La più grande sfida è che il personale ospedaliero ha un’esperienza limitata nella cura di pazienti gravi o positivi al Covid-19”. Anche procedure apparentemente semplici con il Covid si complicano. “Non è facile girare un paziente con flebo e intubato. Servono almeno cinque persone ma non è impossibile”.
A Gaza, a febbraio il numero di pazienti positivi è diminuito, per poi risalire a marzo. Il sistema sanitario di Gaza è già paralizzato da decenni di occupazione israeliana e da un prolungato blocco economico. Il team di MSF che lavora nella Striscia è molto preoccupato per una possibile nuova ondata. Mentre il Covid-19 continua a diffondersi in Cisgiordania e Gaza, i palestinesi non sono protetti.
“Siamo molto preoccupati per la lenta distribuzione dei vaccini” dice Ely Sok, capomissione di MSF nei Territori palestinesi. “Da un lato, la grande disponibilità di dosi in Israele consente al governo israeliano di andare verso l’immunità di gregge, senza dare alcun contributo significativo all’avanzamento delle vaccinazioni nei Territori palestinesi. Dall’altro, è stato difficile avere un quadro chiaro della disponibilità e della strategia vaccinale delle autorità sanitarie palestinesi. Nel frattempo, i sanitari in prima linea e le categorie più vulnerabili in Palestina non sono neanche lontanamente protetti dalla malattia”. Alla metà di marzo, meno del 2% dei palestinesi sono stati vaccinati in Cisgiordania e a Gaza, un numero allarmante alla luce della terza ondata della pandemia.