Nell’ultimo mese il mercato delle criptovalute ha bruciato 858 miliardi di dollari e 1.700 miliardi di dollari rispetto al picco massimo di novembre 2021. È quanto emerge da un’analisi realizzata da InvestinGoal, dopo i crolli nel valore delle criptovalute registrati nelle ultime settimane.
In particolare, a fare notizia nei giorni scorsi sono stati i crolli della stablecoin TerraUSD, e di Luna, una criptovaluta legata a doppio filo a TerraUSD. Fino all’8 maggio TerraUSD aveva funzionato bene, mantenendo un valore stabile vicino a 1 dollaro, ma nei giorni seguenti il suo valore è crollato insieme a quello di Luna (la criptovaluta che veniva utilizzata per bilanciare il valore di TerraUSD), bruciando in totale 42.5 miliardi di dollari di capitalizzazione di mercato.
“Molte persone – sottolinea Filippo Ucchino, amministratore di InvestinGoal – usano le stablecoin per proteggersi dal mercato, per mantenere la propria liquidità nell’orbita delle criptovalute senza dover riconvertire le cripto in dollari o euro dopo ogni transazione, e soprattutto come mezzo di investimento, dato che diverse stablecoin offrono tassi d’interesse molto alti. Tuttavia, anche quando un investimento sembra sicuro o poco rischioso, qualcosa potrebbe sempre andare male. Purtroppo, stiamo constatando come tanti cripto-investitori, anche in Italia, hanno perso ingenti somme di denaro in questo crollo, convinti che, trattandosi di stablecoin, che dovrebbero essere appunti ‘stabili’ per definizione, i loro capitali fossero al sicuro. Purtroppo, quando si investe su asset rischiosi e non regolamentati, come appunto le criptovalute, il pericolo è sempre dietro l’angolo. Si ipotizza che TerraUSD sia stata vittima di una sorta di tempesta perfetta. L’ipotesi è che una grossa vendita di TerraUSD abbia fatto scattare una pioggia di vendite a cui il sistema algoritmico di regolazione di TerraUSD (e Luna) non ha retto”.
Gli andamenti del mercato cripto hanno riproposto all’attenzione il tema dei rischi legati agli investimenti in criptovalute, messe a confronto con più tradizionali metodi di investimento come le azioni. Va subito detto che investire in azioni non è privo di rischi, che sono comunque alti. Tuttavia, sono diverse le differenze tra investire in criptovalute o azioni, come emerge dal report di InvestinGoal. In primis, le criptovalute sono soggette a una volatilità media molto più estrema rispetto ai mercati tradizionali. Poi, le azioni si basano su aziende e società vere e proprie, fatte di persone, capitali, immobili e investimenti anche istituzionali. Molte criptovalute, e le società dietro di loro, non sono altrettanto solide, e può bastare uno scossone improvviso per spazzarle completamente fuori dal mercato nel giro di giorni, vedi appunto TerraUSD.
Inoltre, il mercato crypto non è regolamentato, ciò significa che gli exchange di criptovalute non hanno diritti e doveri espliciti nei confronti dell’utente, e che gli utenti non possono appellarsi agli enti regolatori nazionali in caso di presunte irregolarità. Quando un crypto-broker va in bancarotta o agisce danneggiando gli utenti, oppure l’utente è vittima di una truffa che coinvolge direttamente o indirettamente la piattaforma di negoziazione, non ci sono dei procedimenti che permettono alla parte lesa di recuperare tutto o parte del denaro che ha perso.
Emblematico l’esempio di Coinbase, che ha perso l’80% del suo valore in borsa anche a causa della crisi nel mercato delle criptovalute, con perdite nel primo trimestre del 2022 che ammontano a 430 milioni di dollari. Tutto questo ha fatto sorgere delle preoccupazioni (legittime) sulla tenuta delle società, e si è iniziato a discutere anche dell’ipotesi di fallimento. Interpellata sulla questione, Coinbase ha dovuto ammettere che in caso di bancarotta i wallet degli utenti non sarebbero tutelati in alcun modo. Va rilevato anche che le compagnie quotate in borsa devono sottostare a rigide regole. Invece le criptovalute non sono centralizzate, e quindi può capitare che siano teatro di schemi “pump and dump”, una tipologia di frode che consiste nel far lievitare artificialmente il prezzo di un titolo con l’obiettivo finale di venderli ad un prezzo superiore e lasciare con il cerino in mano gli ultimi arrivati.
Qualcosa però sta cambiando. “Negli ultimi tempi – sottolinea Ucchino – gli exchange hanno ricevuto pressioni da diversi enti nazionali e mondiali, come la FCA, e pur non essendo legalmente obbligati a farlo, hanno iniziato ad adeguarsi ad alcune delle norme. Prima gli exchange non richiedevano alcun processo di KYC, mentre adesso i major come Binance, Coinbase e Crypto.com hanno iniziato a richiedere la verifica dell’identità dell’utente (come accade per i broker tradizionali). Inoltre, recentemente la FSMA belga, ente noto per essere tra i più stringenti in Europa, ha richiesto agli exchange di registrarsi in Belgio per poter operare nel paese, e ha iniziato a bannare dal paese le compagnie che non hanno una sede in Europa. Altri paesi potrebbero presto seguire questo esempio“.
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