Gli anniversari sono sempre occasioni ambigue. Tempo di ricordi, di cerimonie. Qualche volta, è inevitabile, anche occasione per rileggere – se non addirittura riscrivere – quegli spezzoni del passato che facciamo fatica a incasellare nelle categorie comode del contingente. Se poi l’anniversario riguarda una figura come quella di Yukio Mishima, già di suo incompresa, travisata, strumentalizzata, il rischio diventa ancora più grande.
In un simile contesto, il recente lavoro dell’orientalista Riccardo Rosati, Mishima. Acciaio, sole ed estetica, pubblicato da Cinabro Edizioni (106 pagine, 10 euro) con la prefazione di Mario Michele Merlino, è una positiva eccezione. La personalità e gli intenti artistici, politici e umani di Kimitake Hiraoka – vero nome di Mishima – sono infatti analizzati al di fuori dei contesti abituali e scontati cui li ha ridotti a vario titolo una esegesi agiografica e una critica banalizzante. La battaglia spirituale del più celebre intellettuale del Giappone moderno è ricondotta al suo dicotomico strazio non tanto fra Modernità e Tradizione, che pure in senso lato hanno entrambe la loro parte, bensì tra Azione e Contemplazione, il tutto orientato verso una sintesi estetica che Mishima intuì coagularsi in quella che lui chiamava “Nipponicità”.
Un saggio non semplice, quello di Rosati, che richiede non tanto un’accademica conoscenza del Mishima scrittore o giornalista o regista (tutti campi d’interesse che pure indicano, come ben spiega l’autore, quei tasselli che composero il compiersi dell’opera d’arte suprema di Hiraoka che fu il “ben morire”), quanto la predisposizione a uscire dal punto di vista intellettualistico con cui si è soliti incasellare il dramma di un uomo alla ricerca del Bello e del Giusto. E non a caso Rosati afferma fin dall’inizio che per capire Mishima bisogna sostituire il termine “politica” con quello di “estetica”, capovolgendo coordinate date per scontate.
Una per tutte: che l’acciaio da lui vagheggiato sia da intendersi tout court come metallo fisico, sublimazione pura e semplice della carne, come alcuni paiono aver capito. Si tratta invece, è evidente, dell’espressione fisica di un mutamento spirituale, quello tramite cui è possibile esprimere una vitalità creatrice pura, disinteressata, e quindi bella e indistruttibile proprio nell’istante supremo in cui si appresta a scomparire. Perché “Una vita a cui basti trovarsi faccia a faccia con la morte per esserne sfregiata e spezzata, forse non è altro che un fragile vetro” scriveva in Lezioni spirituali per giovani samurai. Documentato e intenso, il testo di Rosati riesce così a gettare più di uno sguardo su questi abissi interiori, che Mishima frequentava al pari di un mistico. Volumetto per pochi, ma buoni.