Le ferie agostane si avvicinano e Governo e Parlamento cercano di velocizzare i tempi per mettere a punto una serie di interventi tanto complessi quanto urgenti e necessari per garantire la stabilità economica e sociale del nostro Paese.
È stato il Presidente Draghi in una lunga conferenza stampa tenutasi lo scorso 12 luglio ad esplicare i programmi che a breve termine il Governo intende mettere in atto, tenuto anche conto delle richieste e indicazioni pervenute dalle parti sociali e dai sindacati delle sigle CGIL, CISL e UIL.
Il momento storico è delicatissimo e la complessità delle problematiche da affrontare è pressoché unica, tra crisi bellica alle porte d’Europa, carenza di materie prime e di approvvigionamenti energetici, aumento dell’inflazione, emergenze climatiche e una pandemia da Coronavirus che non vuol saperne di allentare la morsa.
Così anche Mario Draghi – considerato solo un anno e mezzo fa da buona parte dell’opinione pubblica un autentico “salvatore della Patria” – deve arrendersi a programmi politici sulla carta ambiziosi ma in concreto piuttosto frammentari, parziali e frutto delle inevitabili scaramucce e ricatti tra le forze politiche di maggioranza.
Al di là degli auspici per un nuovo “Patto Sociale” su larga scala e per una fatidica conversione in senso green del sistema produttivo ed energetico italiano e delle misure già adottate (come il bonus 200 euro), in vista dell’emanazione del Decreto di fine luglio i temi caldi restano prevalentemente il taglio del cuneo fiscale, l’introduzione di una forma di salario minimo e il rinnovo dei contratti collettivi. L’obiettivo del Governo pare dunque essersi spostato, nell’immediatezza, all’irrobustimento delle buste paga soprattutto dei lavoratori appartenenti alle fasce reddituali più basse e ciò anche al fine di mantenere vivi i consumi.
Il taglio del cuneo fiscale prevede una manovra economica che dovrebbe pesare complessivamente 10-12 miliardi(attualmente le stime sono ferme però a quota 8) sul bilancio dello Stato e dovrebbe portare ad un incremento di circa 100-150 euro nelle buste paga medio basse (al di sotto dei 35mila euro annui). La riduzione del carico fiscale sulle retribuzioni più basse è stata fortemente richiesta dalle sigle sindacali più rappresentative e il Governo non pare voler disattendere gli impegni assunti in tal senso. Impegno che dovrebbe essere accompagnato da una serie di ulteriori misure finalizzate ad arginare gli aumenti delle bollette ed a tagliare le accise sui carburanti, così da garantire un minimo di ossigeno ai portafogli di una discreta fetta delle famiglie italiane.
Sulla effettiva portata degli interventi previsti pesa però l’incognita del PIL italiano a fine anno: le stime variano da poco più dello 0,1% a quelle più ottimistiche vicine ai 3 punti percentuali. Nell’attuale quadro politico-economico globale ogni previsione anche solo a breve termine è però pressoché impossibile, pertanto il peso e l’efficacia delle misure che saranno adottate dal Governo potrebbero alla fine dei conti risultare molto ridimensionati rispetto alle aspettative.
Altro tema caldo è quello del salario minimo, cavallo di battaglia soprattutto di ciò che resta del Movimento 5 Stelle e tornato di moda dopo la recente Direttiva adottata dalla Commissione Europea. Il Ministro del Lavoro Orlando ha lasciato intendere che qualche passo in questa direzione si farà, ma la soluzione prospettata ha fatto già scattare i malumori delle compagini sindacali: viene messa da parte l’idea di un importo minimo orario (i famosi 9 euro prospettati dal M5S), mentre prende sempre più piede la soluzione dell’estensione del Tec – trattamento economico complessivo -stabilito dai contratti di categoria firmati dalle associazioni più rappresentative anche ai lavoratori appartenenti allo stesso settore ma non coperti dal contratto.
Una mezza soluzione, insomma, che di fatto non introduce un vero e proprio salario minimo alla stregua degli altri Paesi UE e che, come detto, già fomenta tensioni tra i sindacati. Sindacati che peraltro sono già in fibrillazione per quanto concerne l’annosa questione del rinnovo dei contratti collettivi per cui il Governo pare comunque aver fornito più di una rassicurazione agli esponenti di CGIL, CISL e UIL.
Oltre che per l’arrivo dell’anticiclone “Lucifero”, la seconda metà del mese di luglio si preannuncia insomma rovente per il nostro Paese anche sul fronte politico, col Governo Draghi che non può ulteriormente procrastinare le risposte richieste dalle parti sociali in materia di lavoro e retribuzioni.
Ciò anche alla luce delle gravi difficoltà che da tempo affrontano le fasce più deboli della popolazione e che risultano esacerbate da fattori esterni che hanno eroso in breve tempo il potere di acquisto di salari e sussidi e rischiano – tra le altre cose – di far saltare prematuramente ogni buona intenzione di Draghi di raggiungere un “Patto” di ampio respiro che accontenti lavoratori, imprese e rispettivi rappresentanti.