Hai mal di testa? Bruciore allo stomaco? Un’infiammazione cutanea? Basta digitare su google o scrivere in chat all’amico di turno, rigorosamente laureato, magari in giurisprudenza o ingegneria, o più semplicemente impiegato alle poste o cassiere al supermercato.
In pochi secondi avremo a disposizione un esperto pronto a fornire la propria ricetta magica e a condividere la sua eccezionale esperienza. Guai ad abbassare l’antenna del 4 o 5 g e alzare la cornetta per contattare il medico di base. Roba da anni Settanta, specie nel secolo della pandemia dove l’informazione è tutto e la corsa ai numeri viene prima dell’esigenza di sicurezza sanitaria.
Questo fenomeno si chiama Cybercondria e recentemente l’Istituto Superiore di Sanità ha varato un vademecum proprio per smentire tutte le fake news generate intorno agli argomenti Covid-vaccino.
Uno dei rischi della diffusione di questi “virus” informativi? L’incremento dell’ansia e della cybercondria, promossi dalla paura del covid. La pratica di googlare sintomatologie proprie o altrui è da tempo affermata, tanto da portare alla luce il neologismo “cybercondria” (da “cyber” e “ipocondria”).
Con questo termine si esprime il circolo vizioso che si viene a creare dall’ansia generata da un sintomo alla sua ricerca su internet, con conseguente incremento dell’ansia originale. Si arriva così ad auto-diagnosi dalle prospettive disastrose che ostacolano la diagnosi vera e propria da parte dei medici, alle prese con pazienti che amplificano, riducono o eliminano sintomatologie a sostegno delle “cyberdiagnosi” raccolte.
Da qui è ancor più facile intuire la necessità di dare informazioni corrette, che già di per sé possono risultare dannose, e limitare quelle false che rischierebbero non solo di creare panico in un terreno fertile, ma anche di condizionare le diagnosi reali che gli esperti andrebbero a fare.
A sostegno di quanto detto, il 5 agosto è stata pubblicata una ricerca ad opera di Wlodzimierz Oniszczenko, professore ordinario del Dipartimento di Psicologia delle Differenze Individuali dell’Università di Varsavia, dal titolo “Anxious temperament and cyberchondria as mediated by fear of COVID-19 infection: A cross-sectional study” (Temperamento ansioso e cybercondria mediati dalla paura dell’infezione da COVID-19: uno studio trasversale).
I risultati dell’analisi dimostrano che il temperamento ansioso e la paura di incorrere in un’infezione da SARS-CoV-2 sono predittori significativi della cybercondria. Non solo: è emerso anche un effetto indiretto del temperamento ansioso sulla cybercondria attraverso la paura di contrarre l’infezione da Covid-19, che fa quindi da mediatore tra questi due elementi.
Citiamo l’introduzione della ricerca: “La pandemia di COVID-19 è stata fonte di disagio psicosociale derivante da problemi medici, sociali ed economici, nonché di numerosi casi di informazioni non verificate sulla diffusione del virus. Inoltre, la diffusione della pandemia di COVID-19 e le contromisure applicate, in particolare il distanziamento sociale e la quarantena, hanno causato cambiamenti nella salute mentale, principalmente in termini di sviluppo di depressione e ansia. […] Secondo Ahorsu et al., la paura è di solito fortemente associata alle malattie infettive; Il COVID-19 non fa eccezione, poiché la trasmissione del virus è rapida, incontrollabile e associata a un’elevata mortalità”.
Un temperamento ansioso diventa rilevante nel contesto pandemico scatenato dal covid-19 in quanto amplifica l’ansia per la salute e, di conseguenza, la ricerca di informazioni su internet relative all’argomento.
È così legato a preoccupazione, incertezza eccessiva, stati di allerta e costante tensione psico-fisica che può trasformarsi in sintomi somatici. Per dare una breve panoramica sul temperamento, seguendo la teoria biopsicosociale di Robert Cloninger, è quella componente innata che costituisce, insieme al carattere, la personalità. Quest’ultima è quindi il frutto di combinazioni tra dimensioni temperamentali, ereditarie e innate, e dimensioni caratteriali, che riflettono l’apprendimento socioculturale.
Una dimensione temperamentale di evitamento del danno (Harm Avoidance – HA) è quindi correlata a condotte ansiose ma non predeterminante, in quanto anche l’ambiente influisce sulle strategie comportamentali da attuare nei confronti di stimoli avversi o imprevisti (coping).
L’intuizione del professore polacco è chiara: individui con alti livelli di temperamento ansioso che sperimentano maggior paura per gli effetti del covid sulla salute saranno anche più dediti nella ricerca di informazioni su ciò che li minaccia, quindi a manifestare cybercondria.
E così è stato dimostrato attraverso un campione di ricerca composto da 499 partecipanti di età compresa tra 18 e 72 anni, sottoposti a test valutativi sia del temperamento (TEMPS-A) che della cybercondria (CSS). Tra le varie correlazioni, solo il temperamento ansioso e la paura dell’infezione da covid-19 risultano i predittori più significativi della cybercondria e, indirettamente, la paura dell’infezione veicola il temperamento ansioso a condotte cybercondriache.
Ancora una volta si mostra lampante il bisogno di attenzione che la salute mentale necessita nel contesto pandemico.