Anche in questo momento di particolare criticità per il nostro Paese l’imminenza delle elezioni rende più eloquenti i politici al fine di dare ogni possibile rassicurazione sulle problematiche ataviche che hanno afflitto molti governi in passato e per le quali non si riescono a trovare mai ottimali soluzioni. Più che valutare giusto o meno ciò che ci proviene dalle dichiarazioni dei capi politici necessita come sempre aspettare il dopo e del dopo la storia è da Gattopardo. Tutto cambia per non cambiare nulla.
Ritornano nell’imminenza il problema del prolungamento del blocco dei licenziamenti ed il problema del referendum sulla giustizia; la “matassa” da disbrigare ruota, mai come ora, intorno al sistema giustizia. Nel futuro del Governo vi è molto e molto altro ancora ma la domanda da porsi è fin quando resisterà agli interessi dei politici che lo sorreggono?
I partiti tutti che lo sorreggono vorranno sicuramente riprendere un primario ruolo di comando soprattutto all’indomani delle elezioni amministrative che ci saranno e dei risultati che ne verranno. Di solito in Italia all’indomani delle elezioni, sentendo i politici, mai nessun partito le ha perse. Vinto o perso, come se si parlasse di una partita di calcio ove alla fine vi sono numeri certi; è nel calcio che il risultato, infatti, è rappresentato da numeri, i gol ed i numeri conseguenti sono incontestabili.
Tutti vinceranno e gli unici che sicuramente perderanno sono i votanti che per una ragione o per l’altra non vedranno dai loro prescelti, come non hanno mai visto, l’attuazione di quel programma rappresentato e promesso da parte di chi ha vinto o dice comunque che non ha perso. E’ la storia di sempre e più aumentano i partiti, i partecipanti e più diventa impossibile ed irrealizzabile avere un Governo che abbia la forza di operare e vivere per l’intera sua legislatura.
Nell’ultimo periodo è vero che ci hanno chiamato a votare con maggiore lasso di tempo ma la sopravvivenza delle legislature è stata legata alle “impossibili” ed “improbabili” coalizioni che non si potevano neanche ipotizzare prima dell’ultima tornata elettorale. Lo scenario è cambiato perché il disastro del covid ha fatto sì che a impegnarsi per assumersi oneri ed onori fosse un non politico, un professionista con capacità comprovate a dirigere ed amministrare, a organizzare e confidare su altre figure professionali operative e non vincolate.
Abbiamo letto l’intervista al leader della Lega sul Corriere della Sera e, che se ne dica, Salvini sta dimostrando, periodo ed ambiente elettorale prossimo anche da non dimenticare, una sua coerenza e la voglia di non essere legato a stereotipi di campanilismo o di bandiera a tutti i costi ponendosi nella disponibilità di affrontare le problematiche e confrontarsi. Una corrispondenza di visone condivisa tra la destra, o centrodestra che sia e la sinistra o centrosinistra che dir si voglia.
Così ora si trovano possibili intese sul prolungamento del blocco dei licenziamenti e vi si dà anche enfasi ad una motivazione di positività e di favore per l’economia. Il sillogismo è creato tra blocco dei licenziamenti, cassa integrazione, aiuti alle imprese per affrontare il mercato a costi, riferiti al fattore produttivo del lavoro, più bassi.
Forse sarebbe più opportuno e consono porre le imprese nelle condizioni di affrontare il proprio mercato con strumenti più idonei a contrastare concorrenza di chi produce in Paesi ove i costi sono più bassi e la tassazione è maggiormente equa, oppure agevolare la creazione di infrastrutture finalizzate e funzionanti o eliminare ogni inutile intoppo creato dalla burocrazia farraginosa e dilagante.
Al pari si deve affrontare il problema dei referendum. La storia dei referendum in Italia non sempre, o quasi mai, nel suo epilogo, è giunta a cristallizzare ciò su cui si era chiesto di esprimersi. I referendum per scelta costituzionale sono abrogativi e non propositivi dal che si abroga ma poi a decidere sul da farsi, di diverso, bisogna che vi siano conseguenti interventi legislativi. Sulle motivazioni poste a base dei referendum e su ciò che dovrebbero incidere è storia conosciuta ma possiamo veramente andare a decidere, su un tema dibattuto da sempre e sempre più intrigato, abrogando o meno una norma o no.
Perché chi poi sarà chiamato a operare non affronta il problema direttamente e interviene con una seria riforma nel rispetto dei soli principi costituzionali? Necessita snellire l’iter burocratico ed i tempi per dar vita alle cogenti riforme e portando avanti ogni confronto tra i politici, giungere ad attuare il tutto con operatività reale e fattività. Le leggi e le norme che le compongono devono essere semplici, chiare e dirette senza richiami e senza se o ma così lo strumento decisorio per il futuro caso concreto avrà una lineare e precisa applicazione.
Non vogliamo neanche immaginare che per aversi decisioni giuste e puntuali, per aversi la stabilità dell’interpretazione, dobbiamo sperare nella creazione di un logaritmo cui affidare le doglianze delle parti ed attendere che esca la soluzione. In fondo il brocardo latino era sorretto da principio “Da mihi factum, dabo tibi ius”.