“Questa è performance!” La spassosissima imitazione ideata da Virginia Raffaele, da qualche tempo, ha reso nota anche al grande pubblico la figura dell’artista serba Marina Abramovic, regina indiscussa dell’arte intesa come provocazione, come performance artistica, in cui tutto è azione istantanea.
Un concetto di arte, privo di un oggetto artistico da tramandare ai posteri, quale potrebbe essere un quadro o una scultura. Un urlo, un silenzio, uno sguardo: sono queste le forme d’arte dell’Abramovic, che fa di se stessa e del proprio corpo, esposto in varie forme nei più importanti musei del mondo, la principale, se non unica, forma d’arte.
Nella trasmissione televisiva “Lol”, Virginia Raffaele appariva all’improvviso, vestita di rosso, con un abito lungo fino ai piedi, le braccia alzate verso il cielo e il tono ieratico della voce: “Sono Marina Abramovic e faccio arte contemporanea. Non tutti possono fare arte contemporanea, non tutti possono capire arte contemporanea, ma tutti possono pagare per arte contemporanea!”.
Marina Abramovic è stata la fonte d’ispirazione anche per il personaggio dell’artista performativa, nel film premio oscar “La grande bellezza”. Colei che richiamava i critici nel Parco degli Acquedotti, per mostrare se stessa che andava a correre nuda e a sbattere contro gli antichi archi romani, tra gli applausi di molti e le perplessità di qualcuno. Il protagonista del film, il giornalista e scrittore Jep Gambardella, finirà poi per sbertucciare quell’artista, durante una successiva sequenza.
A molti verranno in mente anche le “Vacanze intelligenti” con Alberto Sordi e signora, quando, alla Biennale di Venezia, la moglie di Albertone, seduta su una sedia del museo, viene scambiata per un’opera d’arte. “Vedi quel corpo? Sembra una sfera che prima si sprofonda verso il basso e poi s’innalza piano piano come sospinta dal vento”, commenta uno dei visitatori. “Ao, me se volevano comprà pe’ diciotto mijoni!” chiosa lei, alla fine della scena.
Al CAM di Casoria, il “Contemporary Art Museum”, stavolta, però, non sarà presente Marina Abramovic e nemmeno la moglie di Albertone. A svolgere il ruolo di “artista performativa che vi accoglie nel museo” sarà invece la più nota pornostar in attività. “Annusa Valentina Nappi” è il titolo della mostra che verrà inaugurata il 17 giugno.
“Nuove forme di fruizione estetica impongono una ridefinizione dei luoghi e delle pratiche dell’arte. La body performance al CAM ‘Annusa Valentina Nappi’ – si legge nel comunicato stampa del museo – si configura come una visitor experience attraverso la stimolazione audio/visiva/olfattiva, che prende spunto dalla capacità evocativa del senso dell’olfatto per riflettere sui confini tra dimensione estetica e sensoriale”.
In altre parole, la “visitor experience” pare essere soprattutto un modo per ammirare il corpo della Nappi – ben noto ai più, soprattutto grazie a PornHub – per una volta senza sensi di colpa, senza sentirsi degli onanisti che sbirciano un film hard, oppure dei guardoni nascosti ai giardinetti dietro ad un cespuglio. Anzi, venendo insigniti del nobile ruolo di co-protagonisti di una innovativa forma d’arte.
Chi però pensa che questa sia la prima volta in cui l’arte si mescola al porno, rischiando di sfociare in qualcosa che sfiora, o forse supera, i limiti del comune senso del pudore, si sbaglia di grosso. Di esempi ne esistono già molti. E per questo, visto l’uso di un personaggio come Valentina Nappi, forse mi sarei aspettato un qualcosa di ancora più “trasgressivo” dalla mostra di Casoria.
Quel di più che, ad esempio, osò qualche anno fa l’artista svizzera Milo Moiré, quando sfilò per le vie di Londra, di Amsterdam e di Dusseldorf, vestita con una scatola ricoperta di specchi, con uno sportellino anteriore aperto, attraverso il quale lei si fece toccare i capezzoli e titillare il pube da tutti i passanti. Detto in termini più crudi: una gangbang, versione soft, trasformata in forma d’arte. “Mirror box” si chiamava la performance.
Al di là del piacere che probabilmente hanno provato, sia il pubblico presente alla performance, sia l’artista stessa, viene comunque sempre da chiedersi se queste iniziative possano davvero essere considerate “arte”, o non siano in fondo delle meno nobili “paraculate”, atte essenzialmente a far parlare di sé.
D’altronde, è ormai passato un secolo da quando Marcel Duchamp inaugurò questo concetto di arte come pura provocazione, prendendo un orinatoio ed esibendolo in un museo, senza aggiunte o interventi creativi, come se un cesso fosse, di suo, un capolavoro artistico.
Da allora, gli esperimenti del genere si sono moltiplicati: dalla “merda d’artista” di Piero Manzoni, che inscatolò i propri escrementi per esporli pubblicamente; al “dripping” di Jackson Pollock, cioè lo sgocciolamento del colore dal pennello alla tela, con il quadro che non era più null’altro che un gruppo di macchie di colore casuali, nobilitate come forma artistica.
È noto e storicamente accertato che, durante la guerra fredda, la CIA aiutò economicamente e politicamente artisti come Jackson Pollock, per farne i portabandiera del “mondo libero”, in cui anche l’arte veniva spacciata come “libera” da ogni condizionamento, da contrapporre ai più ingessati artisti sovietici, tutti condizionati dal cosiddetto “realismo socialista”.
D’altronde l’arte è, da sempre, espressione della politica e dell’ideologia del tempo. Le grandi pale d’altare, o gli affreschi delle chiese e dei palazzi, venivano commissionati e finanziati da Papi e Imperatori, non certo per nobili motivazioni artistiche, quanto per farne uno strumento di propaganda e per esaltare il proprio potere.
Sono dunque cambiate le forme superficiali, ma non la sostanza. L’arte, continua ad essere una forma di promozione dell’ideologia dominante. E se, in quell’ideologia, rientra anche, in modo funzionale, una maggiore libertà sessuale, alle Veneri e alle Madonne di un tempo, si sostituiscono i profumi del corpo delle Valentine Nappi, o i ditalini fugaci da fare alle Milo Moiré di passaggio.
In fondo, niente di nuovo sotto il sole, se non la sensazione di una maggiore ipocrisia, in cui la vecchia funzione dell’arte di propagandare ed esaltare il potere politico e ideologico del tempo, viene ammantata da una patina di “trasgressione” e da una “libertà”, tutta di forma e non di sostanza, di apparenza e non concreta. Bella ma virtuale, proprio come le poppe di una Valentina Nappi da ammirare su PornHub o in un museo di Casoria.