A cura di Teresa Lopardo – Studio Viglione-Libretti & Partners
La pandemia ha generato accanto all’emergenza sanitaria una crisi economica ed occupazionale con drastiche conseguenze sul mercato del lavoro, dove il prezzo più caro sembrano averlo pagato, ancora una volta, giovani e donne.
In Italia, durante questo lungo periodo di incertezza economica, si sono registrati tassi di crescita e livelli di produttività al di sotto di quelli di altre grandi nazioni europee: ciò ha comportato un sensibile incremento delle diseguaglianze di genere con una ridotta partecipazione femminile al mercato del lavoro e un numero sempre più alto di “neet”, giovani che non studiano, non lavorano e neppure cercano un impiego.
Nel nostro Paese la percentuale più alta di neet si registra nella fascia di età tra i 25 ed i 29 anni, sintomo questo di tempi di transizione scuola-lavoro troppo lunghi, tanto è vero che si parla anche di “sindrome del ritardo” caratterizzata da un basso tasso di occupazione, di assenza di reddito da lavoro e di prolungata convivenza all’interno della famiglia.
Secondo un rapporto ISTAT del 2021 in Italia il fenomeno neet interessa il 24% dei giovani, il dato peggiore in Europa, dopo Turchia, Montenegro e Macedonia, senza considerare che la percentuale non cambia per la fascia di età post-universitaria (25 – 34 anni) con una notevole differenza a scapito delle donne, la cui inattività si attesta intorno al 25% contro il 21,3% dei ragazzi, fenomeno che nel Mezzogiorno resta su livelli doppi rispetto al Nord.
Nel corso del 2021 si era registrata una crescita dell’economia del nostro Paese grazie al successo delle politiche economiche e di sostegno varate dal Governo con una risalita del Pil più forte delle attese e pari al 6,1%, lasciando ipotizzare un successivo incremento per il 2022 stimato ad un +4,1%, incremento poi ridimensionatosi alla soglia del 2,5% a causa dei rincari dei prezzi dell’energia e delle materie prime, al conseguente abbassamento dei consumi delle famiglie e alla crisi provocata dalla guerra in Ucraina.
Ciò ha generato, ancora una volta, ricadute occupazionali importanti che si protrarranno presumibilmente per un lungo periodo di tempo. Le aziende dovranno pertanto imparare ad utilizzare al meglio il capitale umano, puntando non solo sull’inserimento delle nuove generazioni nel mondo del lavoro, ma preoccupandosi anche di coloro che vengono espulsi, attraverso l’adozione di validi strumenti di Outplacement per supportare i lavoratori in uscita dalle aziende nella ricerca di nuove opportunità professionali.
A tal fine le politiche attive di riqualificazione e collocamento professionale costituiscono un motore per l’economia e dovranno essere implementate attraverso la sinergia tra le agenzie del lavoro, i sindacati, le imprese, i fondi interprofessionali ed il Governo.
In tale periodo di transizione le PMI avranno l’opportunità da un lato di usufruire degli ammortizzatori sociali, da considerare non come meri aiuti ma come strumenti atti a restituire dignità lavorativa, e dall’altro di investire i fondi messi a disposizione dal PNRR in Formazione ed Innovazione Digitale per sostenere i livelli di occupazione.
Nell’ambito del finanziamento comunitario “Next Generation EU”, dei 27,62 miliardi previsti dal Recovery Plan nell’area inclusione e coesione – in cui rientrano le politiche di sostegno all’occupazione e alle transizioni occupazionali – 3,1 miliardi di euro sono infatti destinati alle politiche attive, 3 per il Piano nazionale per le nuove competenze, 600 per l’apprendistato duale e 400 milioni per il sostegno all’imprenditoria femminile, a cui si aggiungono altri 4,5 miliardi destinati alla fiscalità di vantaggio per le imprese del mezzogiorno e per le nuove assunzioni di giovani e donne.
A ciò si aggiunga che nell’attuale scenario economico vi sono tantissime occasioni di lavoro non sfruttate a causa della lamentata carenza di competenze in specifici settori a cui si associa il gap tra domanda ed offerta d’istruzione.
Secondo il Bollettino informativo Excelsior realizzato da Unioncamere e Anpal, le aziende italiane hanno difficoltà nel reperire alcune figure professionali, in particolare nel settore scientifico e in quello tecnico-informatico: mancano in particolare all’appello laureati in Medicina e Ingegneria mentre si registra un surplus di laureati in Scienze Politiche e in Lettere.
È dunque auspicabile che il nostro Paese, anche al fine di contrastare i fenomeni psicosociali legati ai cambiamenti nell’organizzazione del lavoro generati dall’attuale congiuntura socioeconomica, punti sul potenziamento delle competenze del capitale umano sfruttando al meglio le risorse messe in campo dall’UE di cui il PNRR rappresenta il principale strumento atto a migliorare efficienza, competitività e innovazione nel mercato del lavoro.