Di Natale Forlani
Il fragoroso fallimento del progetto della Superlega europea avvenuto nel giro di poche ore fatica a trovare una spiegazione. A stupire è l’evidente sottovalutazione delle potenziali reazioni, pressoché unanimi anche nell’ambito degli stessi tifosi dei club che hanno originariamente condiviso il percorso, anche da parte di manager collaudati, buona parte dei quali pesantemente integrata con le strutture associative, federati, nazionali e internazionali.
Il fenomeno del calcio è parte integrante delle tradizioni e delle relazioni interne alle comunità nazionali, foriero di identità di passioni, a volte criticabili, ma le vittorie, le salvezze, la soddisfazione di battere gli avversari storici o una grande squadra o di penare per le sconfitte dolorose, condizionano gli umori delle persone e delle collettività per intere settimane. Un condizionamento confermato anche dall’inedita reazione che ha coinvolto persino le autorità di governo dei paesi coinvolti e delle Istituzioni europee.
L’unica motivazione possibile della perdita del principio di realtà è offerta dalla montagna di debiti, circa 6 miliardi di euro solo per la parte dei 12 club aderenti, che sono la parte emersa di un iceberg alla deriva. Purtroppo, è questo il tema che viene accuratamente aggirato anche da buona parte di coloro che si affannano a condannare i promotori della Superlega.
Con le attuali regole il mondo del calcio professionistico non è più sostenibile. Non sono sostenibili i costi di ingaggio dei giocatori, dei manager e dei procuratori, l’ampliamento a dismisura delle rose per far fronte a un numero crescente di partite. Il tutto sulla base di aspettative di ritorni economici incerti in termini di premi per le vittorie, diritti televisivi, sponsor e merchandising. Se non altro perché solo alcuni, quelli vincenti, ne potranno veramente beneficiare, mentre tutti i club a vario titolo, per competere alle vittorie o per non retrocedere, sono costretti a farvi fronte sul versante dei costi.
Certamente, ci sono gli esempi virtuosi, l’Atalanta viene presa a modello. Talmente tanto da rappresentare l’eccezione che conferma la regola. E tutt’altro che fuori dal sistema visto che rifila giovani promesse ai club che vanno per la maggiore a colpi di decine di milioni di euro, con relativi ingaggi che devastano la testa degli interessati e ingrassano i conti correnti dei procuratori.
Un sistema che grida vendetta al cospetto del Creatore e offende i comuni mortali, ma che non più di 7 giorni fa un noto commentatore sportivo, a valle di uno spettacolare mach tra il Paris S. Germain e il Bayern di Monaco, riteneva la condizione indispensabile per poter sviluppare il calcio spettacolo anche dalle nostre parti. L’ ambizione di concentrare in un circuito ristretto un potenziale di attrazione di oltre 5 miliardi di tifosi e una montagna di soldi, che consenta ai club più attrattivi di proseguire politiche dissennata tutelandoli dai fallimenti sportivi, è una delle risposte possibili.
Fatte le debite proporzioni è la stessa logica che impone il monopolio dei diritti televisivi e gli elevati costi di abbonamento agli appassionati per garantire ricchi premi alle squadre vincitrici. O all’ opposto, come avviene in Italia, per assicurare le stesse sovvenzioni alle squadre che retrocedono per poter consentire loro di tornare rapidamente nella serie superiore. Basta comparare i bilanci delle principali società di calcio europee con quelli di dieci anni fa, per comprendere i divari di fatturato e di valori patrimoniali che si sono prodotti in un arco di tempo così breve.
Non tutto il male vien per nuocere e il fallimento della Superlega è l’occasione per cambiare davvero le regole del gioco imponendo un tetto agli ingaggi dei calciatori, alle intermediazioni e l’equilibrio dei bilanci nell’ ambito di una ragionevole distribuzione solidale delle risorse.
Le leghe e le federazioni nazionali da sole non possono autonomamente introdurle, anche per evitare un oggettivo spiazzamento dei club nazionali. Ma le federazioni internazionali, la Uefa e la Fifa, lo possono e lo debbono fare. Altrimenti, come l’ araba fenice, una nuova superlega è destinata a risorgere.