La tecnologia deepfake, ovvero la possibilità di creare immagini e video contenenti vip, politici o la ragazza della porta accanto intenti a compiere azioni o pronunciare discorsi totalmente “irreali”, grazie alle recenti tecniche di fotomontaggio, sta prendendo sempre più piede, creando un notevole allarme sociale.
È il caso, solo per citarne uno, dei molti scatti prodotti “in house” e raffiguranti ignare ragazzine il cui viso è “attaccato” sopra il corpo di avvenenti pornostar, immagini fatte circolare poi da compagnetti senza scrupoli che, utilizzando software di deepfake, riescono nell’intento di rovinare per sempre la vita delle ragazze.
Non sempre però un deepfake è causa di avvilimento e sconforto. L’esperienza raccontata sul The Guardian dallo scrittore Michael Grothaus lascia perplessi, e spinge ad interrogarsi sull’utilità (o meno) della tecnica dei deepfake, innescando un dilemma morale sulla possibilità di una commercializzazione massiva di tale tecnologia.
Dopo più di 20 anni dalla morte del padre, Grothaus è riuscito a rivedere il proprio genitore, seppure attraverso lo schermo di un computer e ad un costo di 100 dollari, sano e con indosso una maglietta gialla, mentre giocava con uno smartphone inventato molti anni dopo la sua morte. L’uomo appariva molto contento, all’interno di un parco assolato, sorridendo benevolmente al figlio da dietro le sue inconfondibili sopracciglia cespugliose.
Nei meandri di Internet anonimi esperti realizzano deepfake su ordinazione, a costi tutto sommato contenuti. L’articolo che va per la maggiore, ca va san dire, è la creazione di video porno su ordinazione: una piccola clip di sé stessi avvinghiati ad Angelina Joli (o con la ragazza delle superiori che ci ha sempre respinti) è ora possibile. È richiesto un piccolo pezzettino di video o qualche immagine del soggetto interessato e basta più. Per creare il video di suo padre nel parco, Grothaus ha inviato un minuto di filmato in formato VHS, risalente alla metà degli anni ’90. Con un sapiente ritaglio di elettronica, la piccola clip è stata suddivisa in 1.800 immagini del volto del padre e, inserito tutto nel programma chiamato DeepFaceLab, ecco che la macchina ha inserito le immagini facciali su un video di un altro uomo.
Giusto richiamare dall’Ade i morti? Si. No. Forse.
Il dibattito è quanto mai aperto e spinoso. Da un lato, un’apertura morale a tale tecnologia rischierebbe di far degenerare il software anche in qualcosa di meno piacevole, come ad esempio la visualizzazione erga omnes dei sogni erotici inconfessabili di qualcuno a scapito dell’onore e della reputazione di involontari protagonisti. Dall’altro, perché negare la possibilità di vedere la persona amata – ora scomparsa – presente alle proprie nozze o mentre culla in braccio quel figlio appena nato, cosa che il fato, purtroppo, non ha permesso? Tutti dilemmi di una tecnologia che fa parlare di se anche quando – di fatto – ancora la stragrande maggioranza di noi non può nemmeno sperimentarla.