Iniziativa europea dei cittadini, dibattito pubblico e referendum propositivo: ecco come cambiano gli istituti di democrazia partecipativa a disposizione dei cittadini
di Maria Carla Bellomia
“Ogni individuo ha diritto di partecipare al governo del proprio Paese, sia direttamente, sia attraverso rappresentanti liberamente scelti”: così recita solennemente l’art. 21 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, mettendo nero su bianco quel rapporto biunivoco tra democrazia diretta e democrazia rappresentativa tanto caro alla vecchia – per non dire antica! – così come alla nuova politica.
Se sull’esercizio della seconda forma di democrazia, pur con i suoi limiti, rimangono pochi dubbi sul fatto che debba necessariamente passare per i rappresentanti eletti dal popolo, ben più oscura rimane la questione degli strumenti oggi a disposizione dei cittadini per mettere in pratica la democrazia diretta.
Esercitata fin dai tempi della polis ateniese e oggetto perenne di studio, la democrazia diretta è tornata di gran moda, anche grazie all’avvento dell’era del digitale e alla recente istituzione – primo ed unico esempio al mondo – di un Ministero ad hoc che della democrazia diretta ha fatto, insieme almeno ad una parte del governo in carica, il suo stendardo.
Se l’interesse per la democrazia diretta non si è mai spento, è infatti indubbio che, tanto a livello nazionale, quanto a quello comunitario, si è assistito, negli ultimi anni, al ritorno di una attenzione particolare per questo istituto, anche da parte dell’opinione pubblica, più che mai – come in questo frangente – chiamata in causa.
Agli strumenti per così dire “tradizionali”, attraverso cui ai cittadini è consentito fare proposte – come nel caso dell’iniziativa legislativa – e, in certi casi, prendere direttamente la decisione – come per i referendum – ce ne sono altri che si integrano con gli istituti della democrazia rappresentativa in un’ottica di complementarietà.
All’interno delle istituzioni comunitarie si sta attualmente discutendo della revisione di un istituto che potremmo definire di democrazia partecipativa, poco conosciuto nel nostro Paese ma di estrema rilevanza per rispondere all’esigenza di partecipazione reclamata anche dagli euro-cittadini: si tratta dell’Iniziativa Europea dei Cittadini (ICE), uno strumento che esiste fin dal 2012 e che permette a 1 milione di cittadini, di almeno un quarto degli Stati membri dell’Ue, di invitare la Commissione europea a presentare una proposta di legge su argomenti di interesse della opinione pubblica.
L’idea è quella di promuovere, anche a livello europeo, una maggiore e più attiva partecipazione dei cittadini ai processi decisionali dell’Unione, tradizionalmente caratterizzati da un non trascurabile deficit di democraticità. Ma nonostante i buoni propositi, l’ICE rimane, almeno per ora, uno strumento di pressione sul legislatore europeo: in assenza di una previsione che vincoli la Commissione a legiferare sulla materia oggetto di iniziativa europea, l’istituto rischia infatti di non riuscire a incidere in maniera efficace sulla definizione delle politiche comunitarie.
Un accenno, tra le forme di democrazia partecipativa, merita poi l’istituto del dibattito pubblico, di derivazione francese e di nuova introduzione nel nostro ordinamento, dopo una lunga attesa, nell’ambito della disciplina dei contratti pubblici: seppur circoscritto alle grandi opere, anche questo strumento è stato pensato per garantire una più ampia partecipazione dei cittadini ai processi decisionali pubblici, a vantaggio del confronto democratico.
L’esigenza di una maggiore democrazia (diretta) è stata poi interpretata di recente, a livello nazionale, con la presentazione di una proposta di legge di riforma costituzionale: attualmente al vaglio del Parlamento italiano, si tratta di una proposta di modifica dell’art. 71 della Costituzione in materia di iniziativa popolare delle leggi e di referendum propositivo.
In aggiunta al referendum abrogativo per le leggi ordinarie e a quello confermativo per le leggi di revisione costituzionale, oltre alle forme di referendum consultivi, previsti dalla Costituzione, la proposta di legge costituzionale prevede la possibilità di sottoporre a referendum popolare una proposta di legge che sia stata sottoscritta da almeno 50.000 elettori e che non sia stata approvata dal parlamento entro 18 mesi dalla sua presentazione. Un nuovo istituto di democrazia diretta che si affianca a quello dell’iniziativa legislativa popolare per cercare di rafforzare l’impegno e il coinvolgimento dei cittadini alla vita politica – e quindi a quella democratica – del Paese.
Se è vero che gli strumenti fin qui analizzati presentano alcune criticità e sono certamente perfezionabili, non bisogna dimenticare che essi rappresentano il risultato di una spinta proveniente dal basso e che chiede, a ragione, di poter partecipare in maniera più incisiva alla vita democratica. Alimentare questa richiesta di democrazia, pur con gli strumenti adeguati che ne evitino gli abusi, accresce la legittimazione democratica delle istituzioni – che siano nazionali o europee – e contribuisce a rafforzare la coscienza politica dei singoli cittadini, oltre a contrastare potenziali degenerazioni che possono nascere dal senso di frustrazione per essere esclusi dalle scelte politiche del Paese.