Mancano ormai meno di 6 giorni all’appuntamento elettorale che vedrà l’elezione dei 73 parlamentari europei che spettano all’Italia e il clima nel mondo politico è sempre più rovente.
I toni dello scontro della campagna elettorale si stanno facendo sempre più duri: nella storia recente del nostro Paese, mai le elezioni europee erano state in grado quasi di monopolizzare il dibattito politico interno e mai i leader dei principali partiti si erano impegnati così tanto in prima persona.
Siamo portati a ritenere che questa improvvisa centralità delle elezioni europee sia dovuta, in parte, all’ormai lungo periodo di crisi economica attraversata dall’Italia (abbinata al ruolo da protagonista – per certi versi ingombrante – che l’Europa ha giocato, sia sul fronte economico che su quello politico, dal 2011 in avanti), ma soprattutto al fatto che, a differenza delle precedenti elezioni europee del 2004 e del 2009 (solo per rimanere nel nuovo millennio), nel Parlamento italiano la maggioranza che sostiene il Governo non è depositaria di una chiara legittimazione popolare, non essendo espressione uniforme di uno schieramento politico: le elezioni del 2013 hanno infatti consegnato un Parlamento diviso in 3 tronconi e privo di un “vincitore”.
Questa carente legittimazione interna (insieme ai non esaltanti dati economici dei primi mesi del 2014) fa sì che tutti i partiti stiano dando al passaggio elettorale europeo un significato periodizzante (“giro di boa”) paragonabile a quello che viene dato alle elezioni di mid-term negli Stati Uniti.