Accanto ad immigrazione, ambiente e reddito di cittadinanza gli annunci del neo premier hanno registrato anche grandi assenti: scuola, Sud e strategie complessive per il rilancio industriale.
Un profluvio di 5.939 parole interrotto da 61 applausi. Tra le molte locuzioni utilizzate, al primo posto «governo», ricorrente per 33 volte, davanti a «nostro», citato 30 volte. Ricorre 7 volte il «ma anche» di veltroniana memoria.
Molti i temi affrontati lungo i 72 minuti in cui il premier Giuseppe Conte ha illustrato ai senatori le linee programmatiche del nascente governo penta-leghista, chiedendo a loro una fiducia basata su un programma di governo che, a dire di molti, mostra più i connotati di una campagna elettorale forse mai conclusasi.
Si è parlato, innanzitutto, di cambiamento (dei metodi, dei contenuti), di lavoro, di ambiente, di privilegi della politica e della tanto vituperata Europa, seguendo il fil rouge dell’accordo sottoscritto da Movimento 5 Stelle e Lega. Non sono mancate le frasi ad effetto, da «sarò l’avvocato che tutelerà gli interessi del popolo italiano» a «se populismo è ascoltare la gente allora siamo populisti».
Ma molti temi sono risultati «missing in mission»
A partire dalla «scuola», argomento onnipresente nelle battaglie verbali della campagna elettorale, vera e propria Caporetto di Matteo Renzi. Nessun accenno al sistema educativo e ai suoi bisogni, alla necessità di preparazione e competenza delle nuove generazioni. Assente, quasi fosse una naturale conseguenza, ogni accenno alla «cultura», parola dimenticata dal neo premier nel discorso pronunciato nell’emiciclo di Palazzo Madama. A dire il vero non tutti sono rimasti scontenti dell’omissione. C’è chi sarcasticamente ha fatto notare che, ogni qualvolta nei precedenti discorsi si è fatto cenno ai temi scolastici poi, alla prova dei fatti, i risultati prodotti sono stati disastrosi. Forse meglio tacere per scaramanzia?
Nel discorso più lungo nella storia parlamentare, assente dalla scena un altro tema caldo, sia in termini di attenzione mediatica che di aspettative generate nella cittadinanza: la riforma pensionistica, attraverso l’abolizione della legge Fornero, pare dimenticata. Il superamento dell’attuale normativa e l’introduzione della «quota 100» sono stati opportunamente omessi, vuoi per un equilibrio interno alla maggioranza, vuoi per un quadro finanziario ancora non del tutto cristallino. Si parla di pensioni, si, ma solo quelle privilegiate della politica, un evergreen. Presente, invece, la flat-tax, grazie alla quale «sarà possibile pervenire a una drastica riduzione dell’elusione e dell’evasione fiscale». Nessun altro accenno, però, al contrasto e alla repressione delle frodi fiscali.
Sotto traccia anche il tema delle imprese, perlomeno nel suo aspetto «sostanziale»: nonostante la parola sia stata ripetuta 10 volte, non sono stati toccati i punti salienti «in modo da favorire le imprese che innovano, che assumono nuovo personale, che rispettano le regole della libera competizione» così come desiderato dal premier. Si è parlato, è vero, di revisione della legge fallimentare, ma in molti si chiedono, ad esempio, se verranno o meno confermati gli incentivi all’Impresa 4.0, misura dello scorso governo che sta raccogliendo risultati piuttosto soddisfacenti.
Grande assente anche il Mezzogiorno. Non sono stati mai citati il meridione e le aree depresse del Paese, nonostante la presenza di un’apposita delega affidata alla senatrice pentastellata Barbara Lezzi e il grandissimo bacino elettorale del MoVimento proprio nel sud Italia.
«Il cambiamento non sarà solo nelle parole e nello stile ma soprattutto nel metodo, nei contenuti» ha affermato Giuseppe Conte tra le ovazioni della maggioranza assisa sugli scranni senatoriali. Non resta che attendere e aprire una linea di credito al nuovo esecutivo, nella speranza che i temi dimenticati rimangano tali soltanto sulla carta.