La prossima frontiera della tecnologia sarà l’utilizzo dei dati biometrici non solo per motivi di ordine pubblico, ma anche per accedere ai servizi o per semplice diletto. Una tecnologia che fa discutere e sulla quale l’Ue vuole vederci chiaro
Il nostro viso sarà un passepartout per accedere allo stadio, pagare il conto al ristorante o imbarcarsi per un volo. Come già raccontato da LabParlamento, si moltiplicano gli esperimenti sull’utilizzo dei dati biometrici da parte di realtà pubbliche e private. Tutti pazzi per nasi, zigomi, occhi e orecchie più o meno a sventola. Il prossimo tesoro saranno i tratti somatici degli individui, con buona pace della privacy.
Se è vero che il volto è lo specchio dell’anima, adesso la nostra faccia sarà anche la nostra password, indispensabile per accedere ad un futuro completamente digitalizzato. Unici e inimitabili, i segni del volto non inganneranno gli scanner di prossima generazione, a cui verrà richiesto di dare luce verde (o rossa) per aprire un tornello, identificarsi in banca o mettere in moto l’auto di domani.
Non è fantascienza, ma solida realtà. L’aeroporto di Roma Fiumicino è il primo scalo italiano ad adottare un sistema di riconoscimento biometrico per gli imbarchi verso Amsterdam, mentre l’aeroporto milanese di Linate sta approntando un software di riconoscimento facciale che dovrebbe entrare in esercizio il prossimo anno. Oltre ad una maggiore sicurezza sull’identità del passeggero, l’impiego di tale sistema comporterà anche una maggiore velocità nella gestione delle pratiche di imbarco e, in generale, un approccio meno stressante al viaggio.
Al momento, dunque, la maggior parte delle sperimentazioni riguardano prettamente motivi di ordine pubblico. Sulla medesima falsariga anche la Lega Calcio di Serie A, che sta pensando di installare dei rilevatori di immagini all’interno degli stadi così da poter identificare prontamente facinorosi e autori di cori razzisti.
Accanto a tali nobili intenti, però, monta la preoccupazione per la riservatezza di tali elementi personali. Anche se non confermato, Amazon sta sperimentando forme di pagamento con il semplice palmo della mano del cliente, aumentando le perplessità circa la pervasività di tale metodologia nel trattamento dei dati. Se è vero che il volto – unico e non replicabile – permetterà di accedere a beni e servizi, che succederà in caso di furto di identità? In altre parole, mentre le password in uso oggi possono venire sostituite e resettate, tale cosa non potrà certo succedere con i dati biometrici, immodificabili per definizione. Che cosa accadrà, dunque, quando un hacker privo di scrupoli utilizzerà la nostra immagine per effettuare movimenti sul nostro conto corrente, autorizzare un pagamento con la nostra carta di credito o firmare digitalmente un contratto?
Non un caso di scuola, ma un tema di strettissima attualità. Un gruppo di ricercatori asiatici, tramite delle maschere di lattice in 3D, sono stati in grado di ingannare il sistema di pagamento Alipay, mentre all’aeroporto olandese di Schiphol gli stessi hanno facilmente aggirato i controlli utilizzando la foto di uno sconosciuto. È chiaro che c’è molto ancora da affinare.
In attesa che la tecnologia si consolidi, l’Unione europea ha chiesto nuove regole a tutela della privacy e, fin quando queste non saranno una realtà, potrebbe vietare ogni sperimentazione “facciale” nei luoghi pubblici, una moratoria che la Commissione sembra intenzionata a promuovere almeno per cinque anni. Con l’auspicio che, dopo tale sospensione, i 28 Paesi riescano a trovare regole certe per una tecnologia che, a prima vista – è proprio il caso di dirlo – appare abbastanza vulnerabile e invasiva.