Dopo l’intervista anti accordo con l’M5S e la reazione di Di Maio, sembrava tramontata ogni ipotesi di confronto. Ma i documenti delle ultime ore lasciano intendere altro. E il Quirinale attende..
Aumentano sempre di più le polemiche nel Partito Democratico in vista della Direzione nazionale prevista per domani alle 15. Malgrado, domenica scorsa, l’intervista televisiva di Matteo Renzi e la successiva richiesta di tornare alle urne avanzata da Luigi Di Maio avessero fatto ritenere a tutti i commentatori ormai impossibile un confronto tra Pd e M5S sulla possibilità di formare un Governo, gli eventi delle ultime ore danno motivo di pensare che forse i giochi in casa dem non si siano chiusi con l’intervento dell’ex segretario.
Se già la scelta di presentarsi alla trasmissione “Che tempo che fa” per stroncare ogni ipotesi di accordo con i pentastellati e ricordare la propria influenza sui Gruppi (“non conosco un senatore che voterebbe la fiducia a Di Maio”…) lasciava intravedere, oltre al desiderio di farsi portavoce del sentire della base, la volontà di Renzi di scongiurare il rischio di defezioni dalla linea dell’opposizione da egli stabilita, l’odierna notizia di un documento in tre punti promosso da oltre 100 parlamentari renziani per evitare “conte interne” rende chiaro che la maggioranza scaturita dal congresso Pd del 2017 potrebbe non essere monolitica come appare.
Difatti, se l’ex premier e i suoi sono realmente sicuri di controllare ancora la maggioranza dei 209 membri della Direzione, non si comprende l’utilità di raccogliere le firme di 77 deputati e 39 senatori (tra i quali figurano i capigruppo Graziano Delrio e Andrea Marcucci) per ribadire come “lo stallo creato dal voto del 4 marzo sia frutto dell’irresponsabilità del Centrodestra e del Movimento Cinque Stelle” e per affermare una volta di più che “non voteremo la fiducia a un Governo guidato da Salvini o Di Maio”. A meno che non ci si concentri sul primo punto del testo, nel quale si legge: “crediamo dannoso fare conte interne nella prossima Direzione. È più utile riflettere insieme sulla visione che ci attende per le prossime sfide e sulle idee guida del futuro del centrosinistra in Italia”. In termini più chiari, perché impedire un confronto cruciale se si è nelle condizioni di prevalere sugli avversari interni?
Non a caso, la reazione degli esponenti vicini a Maurizio Martina e ai capicorrente favorevoli al dialogo con il Movimento 5 Stelle sembra essere quella di chiedere tra 24 ore un voto per rinnovare la fiducia al segretario reggente, in vista della futura Assemblea nazionale (al momento rinviata a data da destinarsi) e di eventuali nuove consultazioni al Quirinale. Un modo per risolvere una volta per tutte l’equivoco derivante dalla presenza di un leader dimissionario che non intende abbandonare la prima linea, e che ha portato lo stesso Martina a dichiarare che “è impossibile guidare il Partito Democratico in queste condizioni”.
Al di là del braccio di ferro dialettico, la riunione di domani porterà a meno di colpi di scena (mai da escludere in casa Pd) o a una ratifica della linea di Matteo Renzi del “no ad accordi con M5S e Lega, sì a un Esecutivo di tutti per modificare la legge elettorale e riscrivere la Costituzione” o a un’inaspettata riapertura al dialogo con i grillini, che dovrebbe tuttavia fare i conti con la ‘chiusura del forno’ da parte di Luigi Di Maio, al termine di settimane di inviti a sottoscrivere un contratto governativo alla tedesca.
L’esito della Direzione dem non è affatto ininfluente, poiché da questo dipenderà la mossa che Sergio Mattarella annuncerà venerdì per riprendere le fila della crisi, dopo che il 26 aprile si era conclusa l’esplorazione del presidente della Camera Roberto Fico. In ogni caso, la strada del Colle per superare lo stallo tra le forze politiche si annuncia ancora più in salita dopo che M5S e Lega hanno riaffermato la loro contrarietà a Esecutivi tecnico-istituzionali, puntando rispettivamente su elezioni a giugno e su un ritorno dell’ asse tra centrodestra e Movimento 5 Stelle.