Continua la riflessione sulla riforma. Con l’obiettivo di evitare che poche sigle sindacali possano tenere in ostaggio l’intero Paese. Confronto in Senato
Forse saranno state le immagini dei tanti turisti rimasti inutilmente in attesa, sotto il sole cocente, davanti ai cancelli chiusi di Pompei, o forse perché a Roma quello di giovedì prossimo sarà il sedicesimo sciopero dall’inizio dell’anno, ma pare che anche a Palazzo Madama si siano avvertiti gli echi disperati dei tanti cittadini che, ogni giorno, si ritrovano a fare i conti, oltre che con le difficoltà della vita, anche con i bronci dei sindacati.
Da diverso tempo, infatti, la politica discute senza frutto sulla possibilità di apportare una profonda revisione alla Legge n. 146 del 1990 recante le norme sull’esercizio del diritto di sciopero nei servizi pubblici essenziali e finalmente, dopo tanti annunci vacui, pare che qualcosa nei palazzi del potere si stia finalmente muovendo.
Dopo aver accorpato diverse proposte di legge in materia, le Commissioni Affari costituzionali e Lavoro del Senato proseguiranno domani l’esame della questione alla ricerca di nuove regole sulle astensioni nei servizi pubblici essenziali. In questi quattro anni poco sembra essere fatto, anche se il testo allo studio è ricco di buone intenzioni.
Alla base del nuovo provvedimento (relatori sono i senatori Francesco Russo e Maurizio Sacconi) vi è la nobile preoccupazione di conseguire un effettivo bilanciamento tra il diritto costituzionale di sciopero e quello, altrettanto pregnante, alla mobilità e alla libera circolazione delle persone.
Per realizzare questo difficile connubio si sta lavorando a un ridimensionamento del potere sindacale, individuato senza difficoltà come il detonatore delle inefficienze dell’attuale normativa. E le novità non mancano.
Innanzitutto basta agli scioperi selvaggi proclamati da sigle minori: nelle intenzioni del Parlamento le astensioni potranno essere annunciate soltanto da quelle organizzazioni sindacali che godono di un grado di rappresentatività superiore al cinquanta per cento. In alternativa, sarà possibile indire un referendum preventivo tra tutti i lavoratori. Per tradursi in sciopero, però, il plebiscito dovrà registrare la posizione favorevole di almeno il trenta per cento degli aventi diritto al voto (consultazione che potrà essere indetta, tra l’altro, solo da organizzazioni sindacali con un grado di rappresentatività superiore al venti per cento).
Paletti ben precisi, dunque, e limiti alle conseguenze devastanti dell’effetto “annuncio”: ogni lavoratore dovrà dichiarare, preventivamente, la sua volontà di partecipare o meno allo sciopero, cosi da poter dare modo ai singoli utenti di conoscere in anticipo la reale portata degli effetti dell’astensione collettiva. Non solo, ma per tutte quelle categorie professionali le quali, per le peculiarità della prestazione lavorativa e delle specifiche mansioni, un’astensione dal lavoro possa provocare la concreta impossibilità di erogare il servizio ecco che scatta una nuova forma di protesta, non più in strada con megafoni e striscioni ma “virtuale”, capace di garantire ugualmente lo svolgimento della prestazione lavorativa.
Ancora: nuovo ruolo della Commissione di garanzia, con la previsione di poteri sanzionatori anche in capo ai lavoratori; precettazioni più serrate ma, soprattutto, il divieto di forme di protesta che, per la durata o le modalità di attuazione, possano essere lesive del diritto alla mobilità e alla libertà di circolazione delle persone.
Forse più che un disegno di legge, le previsioni all’esame delle commissioni parlamentari somigliano più a un libro dei sogni, con norme che – semmai approvate – renderebbero la vita difficile a molti sindacati, costretti a quel punto a faticare non poco per riacquistare credibilità agli occhi dei cittadini, stufi dei continui disagi. La domanda che da più parti avanza, in concomitanza di ogni mobilitazione generale è, infatti, se abbia ancora senso un tale tipo di protesta o sia piuttosto desueta e logorante. Si avrà modo di rifletterci, comunque, giovedì. In occasione dell’ennesimo sciopero del trasporto pubblico.