Gli ultimi dati sono in calo ma quella giovanile è al 32,2%. Servono azioni di ampio respiro
2 milioni 791 mila. Non è l’importo dell’ultima vincita al Superenalotto, ma il numero di disoccupati in Italia, certificati oggi dall’Istat. Quasi tre milioni di persone (il 10,8%), uomini, donne, giovani e meno giovani, che guardano con attenzione e speranza al prossimo appuntamento elettorale del 4 marzo. Si perché chi vincerà le elezioni avrà l’onore (o forse l’onere) di adottare la propria ricetta per assottigliare il più possibile quel numero citato in apertura. Soprattutto il prossimo Governo avrà il compito di occuparsi di quella che è una situazione ormai strutturale: la disoccupazione giovanile.
I dati di oggi sembrano “meno peggio” del solito perché dicono che il tasso di disoccupazione tra i giovani è sceso rispetto al mese precedente attestandosi al 32,2% (-0,2 punti su novembre). Ma in effetti pensare che un ragazzo su tre in Italia è senza lavoro non pare proprio un gran bel risultato. Ci vuole allora una soluzione. E in questi e nei prossimi giorni ne abbiamo sentite e ne sentiremo di tutti i tipi.
Liberi e Uguali, per esempio, propone di “tornare a considerare il contratto a tempo indeterminato a piene tutele, con il ripristino dell’art.18, come la forma prevalente di assunzione” e rilancia evidenziando che va “superata la giungla di forme contrattuali precarie introdotte nell’ultimo ventennio” e che “occorre disciplinare, nell’ottica di tutela del lavoratore, le nuove forme di lavoro, come quelle con le piattaforme, per le quali manca un inquadramento giuridico certo”.
Fratelli d’Italia, con un suo “programma aggiuntivo” rispetto a quello della coalizione di centro – destra ha più genericamente invocato la “difesa del lavoro e lotta alla disoccupazione” proponendo misure come “flat tax ridotta solo alle imprese che producono in Italia con manodopera locale. Super deduzione del costo del lavoro per le imprese ad alta intensità di manodopera. Incentivo alla partecipazione dei lavoratori agli utili d’impresa come miglior antidoto alla delocalizzazione. Potenziamento degli strumenti di intermediazione tra domanda e offerta di lavoro con il maggior coinvolgimento di enti pubblici e privati. Tutela delle professioni e valorizzazione del lavoro autonomo. Sistema unico di ammortizzatori sociali per tutti i lavoratori. Difesa del piccolo commercio”.
+ Europa ha proposto di introdurre un “sussidio di disoccupazione europeo, insistendo su mentoring e trasferimento delle competenze” mentre nel centro destra impazza il tema dell’abolizione della legge Fornero (cavallo di battaglia della Lega di Salvini) che dovrebbe, di conseguenza, consentire ai più giovani di entrare nel mercato del lavoro “ripulito” dai più anziani lavoratori. Per altro verso, poi, Forza Italia continua a promuovere la propria “rivoluzione fiscale” (non più quindi quella liberale di una volta) basata sulla flat tax che dovrebbe liberare risorse economiche in grado di creare le condizioni per avere più posti di lavoro.
Il Partito Democratico, invece, non ha ancora reso noto un vero e proprio programma, ma dalle dichiarazioni di alcuni candidati di punta si è appreso che l’obiettivo è quello di rendere meno oneroso per le imprese il contratto a tempo indeterminato per favorirlo rispetto ai contratti a termine (che dovrebbero divenire invece più costosi per le aziende). Ci sarebbe poi una idea di salario minimo per i lavoratori che non rientrano nel contratto collettivo nazionale e altre iniziative per sostenere i lavoratori autonomi e per rivedere le regole della rappresentanza.
Altra, sintetica, ricetta sul lavoro è quella del M5S che ha lanciato la sua idea di Smart Nation fondata su “Investimenti ad alto moltiplicatore occupazionale per creare nuove opportunità di lavoro e nuove professioni e su Investimenti in nuova tecnologia, nuove figure professionali, internet delle cose, auto elettriche, digitalizzazione PA”.
Che dire, la fantasia non manca, ma forse per scrivere “nuovi e migliori numeri” sul fronte dell’occupazione ci vuole altro. Probabile che ognuno dei competitors di questa campagna elettorale abbia un asso nella manica che tirerà fuori al momento opportuno.
Quel che è certo è che la disoccupazione, soprattutto quella giovanile, in quanto di natura ormai strutturale, richiede azioni di ampio respiro che siano di medio – lungo periodo e adeguate ai mutamenti repentini che l’innovazione e le nuove tecnologie stimolano.
Ma questa è una responsabilità della politica in generale, non dei singoli partiti.