Primo passo per portare la banda larga in tutte le aree del Paese. Aspettando la fibra. Ora la palla al Mise
Navigare in internet e usufruire di collegamenti veloci grazie ad un collegamento ADSL ad alta velocità anche nelle zone più periferiche d’Italia dove, oggi, nessun operatore ritiene profittevole investire: forse tutto questo, a breve, sarà possibile.
Numerose – e non solo negli ultimi anni– sono state le segnalazioni dirette all’Autorità di settore, volte ad evidenziare una condizione di disagio ed esclusione sociale di una parte della popolazione residente in piccoli Comuni alla quale, a causa del mancato adeguamento delle infrastrutture di rete di trasporto in fibra ottica fino alla centrale locale, è ancora negata la possibilità di un “accesso efficace a Internet”, inteso come collegamento in ADSL alla rete dati a banda larga. Proprio come l’acqua, l’elettricità o la semplice linea telefonica, prestazioni ritenute indispensabili tanto da rientrare nel c.d. “Servizio universale” (meglio noto anche come ‘S.U.’, ovvero l’insieme minimo di servizi, accessibili a tutti gli utenti a prescindere dalla loro ubicazione geografica, offerti ad un prezzo ragionevole), a breve anche l’ADSL potrebbe rientrare in questa definizione e, di conseguenza, essere garantito a tutti i cittadini e in tutte le aree del Paese.
È questa la grande novità deliberata dall’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni (AGCom) che, ad inizio agosto, ha pubblicato la Delibera n. 253/17/CONS con cui ha proposto al Ministero dello Sviluppo Economico (ad esso, infatti, spetta tale competenza) di imporre agli operatori telefonici di inserire, all’interno del Servizio universale, l’obbligo di prevedere un accesso internet ADSL (ma anche collegamenti satellitari) ad una velocità di almeno 2Mbps per tutti gli utenti sul territorio nazionale.
Alla luce del progresso tecnologico e degli sviluppi del mercato, non sembrava più rinviabile, in sostanza, l’aggiornamento dei servizi contenuti all’interno del S.U. con riferimento ad una modalità di accesso a Internet che evolvesse dall’attuale tecnica dial-up verso l’ADSL, tecnologia oggi prevalentemente usata. Questa innovazione avvicina l’Italia all’Europa, riducendo il solco digitale tra il nostro Paese e il resto dell’Unione. In Spagna (e in altri sette Stati), ad esempio, tale diritto è ormai realtà, mentre nel Regno Unito si sta pensando addirittura di estendere la velocità minima garantita a 10Mbps.
Ma il percorso, come di consueto in questi casi, è irto di ostacoli, uno fra tutti la contrarietà degli operatori telefonici sui quali, in definitiva, ricade l’obbligo. Per essi tale previsione è superflua, andando ormai il Paese verso una rete capillare di collegamenti in fibra ottica, maggiormente performanti rispetto all’ormai datata ADSL. Non solo, ma c’è il concreto rischio che tale iniziativa possa falsare l’assetto del mercato, a scapito della competizione e dei benefici per gli utenti, posizioni prontamente confutate dall’Autorità di regolazione.
Per l’AGCom, l’inclusione della banda larga tra gli obblighi del S.U. risulta essere una misura complementare alle strategie governative ai fini di conseguire i benefici derivanti da una copertura capillare della connettività a banda larga. Infatti, per il regolatore di via Isonzo, ancora oggi si rileva la presenza di una condizione di “divario digitale” rilevante nelle zone rurali, e le tempistiche e le modalità di realizzazione dei Piani del Governo potrebbero non consentire, nell’immediato, l’universalità di un accesso efficace a Internet.
Sostegno alla posizione dell’autorità indipendente da parte delle Associazioni dei Consumatori che spingono con forza sulla necessità di includere la connessione dati almeno a 7 Mbps all’interno degli obblighi di fornitura del servizio universale. Per esse, nonostante i Piani del Governo volti a promuovere la diffusione della banda larga ed ultra larga, permangono aree del Paese nelle quali non è possibile accedere velocemente a Internet.
Adesso la palla passa al Mise, a cui spetta il dovere di procedere al riesame dell’ambito di applicazione degli obblighi di servizio universale. Il dicastero guidato da Carlo Calenda, infatti, ha il compito di individuare, sulla base degli orientamenti della Commissione europea e delle diverse offerte presenti sul mercato, per quali servizi (e in che misura) le imprese sono tenute a fornire determinate prestazioni, sperando che l’insieme di tali decisioni contribuiscano ad elevare Internet a “diritto universale”.