“Le parole sono importanti: chi parla male, pensa male e vive male”. Diceva grossomodo così il Nanni Moretti di Palombella Rossa, ferito al cuore dai troppi inglesismi della giornalista che lo stava intervistando. Una verità indiscussa e, va da sé, sempre di moda, a prescindere della bontà della pellicola del cineasta romano e delle sue tre decadi di vita.
Le parole sono importanti e devono averle pensate bene e a lungo anche nei palazzi governativi in questi giorni prima di decidere come definire il tema della cancellazione delle cartelle esattoriali. “Condono” suonava come concessione e portava inevitabilmente a pensare a un qualcosa – una pena – che venisse in qualche modo estinta; “pace fiscale” è una locuzione abusata che poteva creare l’effetto nell’opinione pubblica di un regalo per alcuni a scapito di qualcun altro. E allora si è optato per “sanatoria”, che ha legame fonetico con “sanità” ed è tema principe nelle sensibilità degli italiani da un anno esatto, ormai.
Facezie per linguisti, prima ancora che per comunicatori, tanto più quando la sostanza non cambia e la forma diventa un vizio di stile. Fatto sta che nella bozza del Dl Sostegni, in via di approvazione nel corso della settimana, è spuntata una corposa voce, tanto da aggiungere il prefisso “maxi”, dedicata alla sanatoria fiscale.
Occorre una doverosa parentesi: la pandemia con la quale conviviamo da dodici mesi, e che non accenna a frenare la sua corsa, ha comportato danni indicibili su tutti i fronti, raggiungendo l’inquietante quota di 100mila vittime, allargando gap sociali e di genere e falcidiando interi comparti del tessuto economico e produttivo. In un contesto del genere pochi storcerebbero il naso se, tra i doverosi aiuti che mette in campo uno Stato democratico, si desse una mano alla vasta platea di partite IVA, artigiani e piccoli imprenditori che faticano letteralmente a mettere insieme il pranzo con la cena, eliminando i debiti nei confronti dell’erario che hanno accumulato nell’ultimo anno, a causa di attività chiuse e fatturati dimezzati se non quando scomparsi.
Tuttavia la sanatoria allo studio del Governo, e qui torna forte il prefisso “maxi”, prevede uno stralcio delle cartelle esattoriali tra il 2000 e il 2015, in una sorta di effetto retroattivo non meglio spiegabile. Sono addirittura sei le ipotesi allo studio che spaziano da un condono minimo, per le cartelle fino a 3mila euro, circa 57 milioni di cartelle sugli oltre 70milioni di fascicoli fermi negli archivi dell’erario nel quindicennio in questione, fino all’eliminazione tout court di tutti i debiti pendenti, ipotesi estrema. Calcolatrice alla mano si scopre che le mancate riscossioni oscillano da un minimo di 730milioni di euro a un massimo di 3,7miliardi di euro che, grazie alla sanatoria, non entrerebbero mai più nelle casse dello Stato.
Un provvedimento urbi et orbi che permetterebbe a un autonomo su due, che dichiara fino a 150mila euro al fisco, di dire addio ai debiti accumulati; a prescindere che si trattasse di una multa non pagata del 2002 perché non si capiva se fosse da saldare in euro o in lire o di un bollo mai versato per il Ciao dimenticato in box dopo la nottata brava per la vittoria dei Mondiali del 2006.
Tutto molto lontano dalle difficoltà economiche legate alla pandemia e altrettanto incomprensibile anche per il più fine esegeta del teatro dell’assurdo. Si apre, infine, il capitolo risorse: dove attingere per permettere di dire “che la pace sia con voi, cari piccoli evasori?”. E’ presto detto, tra i 32 miliardi di euro chiesti con l’ultimo scostamento di bilancio – che diventeranno nuovo debito, occorre sottolineare – e che dovrebbero servire a rinforzare le strutture sanitarie, a velocizzare la campagna vaccini e a sostenere la miriade di attività in grave difficoltà economica.
C’è un sinistro “di più” inoltre: si chiama “discarico automatico per inesigibilità” e si traduce nella possibilità di cancellare le cartelle che saranno consegnate quest’anno se da qui al prossimo quinquennio non saranno riscosse. In buona sostanza un via libera a chi, camuffandosi da realtà economica vessata dalla pandemia, vorrà farla franca anche per il prossimo futuro.
Un ulteriore interrogativo che non trova risposta così come restano inascoltati i warning lanciati. Ad esempio quello di Ignazio Visco, numero uno di BankItalia che ha cercato di spiegare come tutta l’operazione sarebbe un errore perché se è vero che il 70% delle cartelle si riferisce a ipotetici nullatenenti è anche vero che non tutte queste siano di fatto inesigibili. Sottigliezze, come deve essere stata troppo raffinata l’idea del mondo del CAF, di avviare parallelamente allo stralcio delle cartelle un monitoraggio incrociato con l’ISEE, così dal rendere la sanatoria progressiva e un filo più equa.
In tutto questo nessuna forza politica dell’omnimaggioranza di Governo ha alzato un dito o dato un colpo di tosse per manifestare dissenso. Così, giusto per dare anche solo una vaga attenzione a tutte quelle imprese compliant che pagano fino all’ultimo centesimo di tributi in tutte le loro forme o evitare lo schiaffo, con segno rosso semipermanente, sul viso di quei 5 milioni di contribuenti, circa il 12%, che dichiarano dai 35mila euro lordi annui in su e da soli reggono l’intero sistema Irpef. A questi soggetti non è concesso altro che dire “pagherò (anche) per te”.