Dossier / In Ue la spesa pubblica vale il 50% del Pil
Il settore pubblico è il comparto più grande dell’UE. Occupa circa 75 milioni di persone, ossia il 25% circa della forza lavoro (dati OCSE, Government at a Glance 2017, OECD Publishing, Parigi, 2017). La spesa pubblica rappresenta quasi il 50% del PIL europeo. L’invecchiamento dei funzionari pubblici rappresenta il maggior rischio per le istituzioni pubbliche di tutta l’Ue.
In Italia, oltre alle numerose uscite per la quota 100 dell’ultimo anno, fino al 45% dei funzionari pubblici andrà in pensione nei prossimi 5-10 anni. Tali cifre sollevano serie preoccupazioni per quanto riguarda la capacità a lungo termine, la stabilità istituzionale e la qualità dei servizi. Occorre allora attuare con urgenza strategie volte ad attirare talenti, a garantire il trasferimento di conoscenze e a offrire opportunità di sviluppo professionale.
Il clientelismo nell’assunzione di personale rappresenta un problema serio in alcuni paesi, fra i quali l’Italia, e può ostacolare ogni razionale sforzo di migliorare la pubblica amministrazione. La politicizzazione e l’assenza di meritocrazia nel reclutamento dei funzionari pubblici producono corruzione nella pubblica amministrazione e danneggiano la qualità dei servizi. Basta vedere il caso Benotti per il quale nessun ministro/sottosegretario – cioè il datore di lavoro – ha verificato i titoli, conferendo fiduciariamente incarichi che, dunque, oltre che illegittimi, mortificano i dipendenti capaci, cui sono state sottratte funzioni.
Il taglio della spesa pubblica durante la crisi ha influito per 10 anni sui salari dei dipendenti pubblici e sugli investimenti nella formazione nel settore pubblico. In media, il reddito dei professionisti esperti della pubblica amministrazione è di 2,6 volte inferiore a quello dei loro alti dirigenti amministrativi. Il divario retributivo più ampio tra gli alti funzionari pubblici (e gli alti dirigenti) europei si registra in Italia, quello minore in Grecia, Lettonia e Slovenia (OCSE, Engaging Public Employees for a High-Performing Civil Service, OECD Publishing, Parigi, 2016).
Nel complesso, l’intensità del lavoro e lo stress nella pubblica amministrazione sono cresciuti: sostituendo la gestionalità alla professionalità, in uno scenario di intensificazione della produzione normativa scadente, la maggior parte delle politiche in materia di risorse umane ha focalizzato l’attenzione sulle prestazioni, mentre lo sviluppo delle potenzialità dei dipendenti non raggiunge lo stesso livello di priorità. La gestione dei processi prevale sulla gestione delle persone.
Tuttavia, al blocco delle retribuzioni per 10 anni, al calo dei dipendenti da pensionamenti e blocco delle assunzioni (sempre per 10 anni), è corrisposto un aumento considerevole della spesa pubblica. Segno evidente che non sono i pubblici dipendenti ad aumentare la spesa, ma gli incarichi esterni, le consulenze, il fiorire di autority, società, aziende, e tutto il sottobosco ove posizionare persone che, diversamente, i concorsi non li supererebbero.
Renato Brunetta era già stato ministro della funzione pubblica e, da ministro, varò il d. lgs. 27 ottobre 2009, n. 150 (c.d. “Riforma Brunetta”), che segnò l’avvio della c.d. “Terza riforma del pubblico impiego”. Quel corpo normativo, chiamato a dare attuazione alla legge 4 marzo 2009, n. 15, in materia di ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico e di efficienza e trasparenza delle pubbliche amministrazioni, riguardava i lavoratori pubblici «contrattualizzati» (art. 1, comma 1) ed aveva lo scopo di innovare ampiamente la disciplina del lavoro pubblico recata dal TUPI, d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165.
Gli obiettivi perseguiti dalla riforma erano individuati all’art. 1, comma 2: «migliore organizzazione del lavoro, il rispetto degli ambiti riservati rispettivamente alla legge e alla contrattazione collettiva, elevati standard qualitativi ed economici delle funzioni e dei servizi, l’incentivazione della qualità della prestazione lavorativa, la selettività e la concorsualità nelle progressioni di carriera, il riconoscimento di meriti e demeriti, la selettività e la valorizzazione delle capacità e dei risultati ai fini degli incarichi dirigenziali, il rafforzamento dell’autonomia, dei poteri e della responsabilità della dirigenza, l’incremento dell’efficienza del lavoro pubblico ed il contrasto alla scarsa produttività e all’assenteismo, nonché la trasparenza dell’operato delle amministrazioni pubbliche anche a garanzia della legalità».
Tra le principali novità proposte dalla Riforma Brunetta si ricorda appunto il rafforzamento delle responsabilità dirigenziali e dei ruoli professionali, sgretolati del tutto dalla successiva riforma operata dalla L. 124/2015 (c.d. Riforma Madia), non a caso bocciata dal Consiglio di Stato prima (in sede di parere sugli atti normativi, cui anche Unaep aveva presentato osservazioni), e dalla Consulta poi.