Tra le proposte di riforma dell’ordinamento di Roma Capitale vi sono tre disegni di legge all’esame della Commissione affari costituzionali della Camera dei deputati (fase delle audizioni), presentati da Paolo Barelli, Roberto Morassut e Stefano Ceccanti. Il primo in parte costituzionalizza alcuni passaggi delle leggi ordinarie De Vecchis-De Angelis: consente agli uffici centrali di Roma di delegare le proprie funzioni amministrative ai municipi, enti per dimensioni, numero di abitanti ed esigenze non dissimili da molti comuni italiani di media grandezza.
Alla previsione del decentramento si accompagna la dotazione a Roma Capitale dei poteri dei comuni, delle città metropolitane e delle regioni ordinarie. Roma Capitale acquista l’intero spettro delle potestà e delle forme di autonomia contemplate dalla Costituzione per tutti i livelli territoriali: 1) potestà legislativa, regolamentare e amministrativa; 2) autonomia finanziaria; 3) legittimazione a ricorrere alla Consulta avverso le leggi statali o regionali che ne ledano le competenze.
Le funzioni legislative e deliberativo-esecutive, coadiuvate dalla piena trasformazione degli attuali municipi in veri e propri comuni, saranno in grado di incidere in modo coordinato, celere ed efficace sull’intero territorio. L’assetto, così riformato, darà luce ad una gestione multilivello di più ampio respiro, maggiormente capace di affrontare situazioni, già tradizionalmente complesse, rese particolarmente difficoltose dalla globalizzazione e dagli intensi processi di concentrazione demografica e produttiva.
Roma costituisce l’area metropolitana italiana con la maggior estensione territoriale ove vive una popolazione di oltre 2.800.000 abitanti, estensione e popolazione che si ingigantiscono se si fa combaciare la totalità dell’area metropolitana romana con quella del territorio della città metropolitana (ex provincia di Roma): si raggiungono 5.500 chilometri quadrati e oltre 4.300.000 abitanti (su 5.800.000 laziali).
Questi dati appaiono indispensabili per avere una piena percezione della realtà urbana romana, che è ormai di scala metropolitana, segnata da una sempre più stretta integrazione, saldatura e continuità territoriale tra il comune di Roma e quelli contermini.
Questi dati ci fanno anche meglio comprendere il secondo disegno di legge costituzionale, primo firmatario Roberto Morassut, che sussume Roma fra le regioni, in modo di renderla maggiormente governabile in conseguenza del riconoscimento di una piena potestà legislativa: l’inquadramento del territorio della Città di Roma Capitale nel mosaico delle regioni come ventunesima regione d’Italia consente a quest’ultima di fruire del potere di normazione.
Il terzo disegno di legge costituzionale, che porta l’unica firma del deputato costituzionalista Stefano Ceccanti, sfrutta la procedura prevista nell’art. 116, comma 3, Cost. Questa proposta non prevede direttamente la riforma di Roma capitale, ma origina un processo partecipato che vede come protagonisti la regione Lazio, il Governo nazionale, Roma Capitale e le Assemblee parlamentari, per pervenire ad una capitale che possieda un maggiore grado di autonomia e di specialità.
L’articolo 114, terzo comma, Cost., riferendosi a Roma capitale della Repubblica – come già puntualizzato negli articoli precedenti – afferma che «La legge dello Stato disciplina il suo ordinamento», e ciò significa che è una legge dello Stato a determinare l’«ordinamento» di Roma capitale. A tale proposito ci viene in soccorso l’art. 116, terzo comma, Cost., che dispone che con legge dello Stato, sulla base di un’intesa fra lo Stato e la regione interessata, possono essere attribuite alle regioni ordinarie «ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia», ampliando così il loro spazio di azione.
Il procedimento deducibile dall’articolo 116, terzo comma, Cost., si scandisce in tre fasi: di iniziativa regionale, in base alla quale la regione interessata promuove il procedimento per l’attuazione del regionalismo differenziato, su istanza dell’organo competente individuato dal proprio statuto; di costruzione dell’intesa tra la regione e il Governo; d’iniziativa legislativa, con l’approvazione della legge recante l’intesa.
Esempi recenti sono le richieste venete, lombarde ed emiliano-romagnole di ampliamento delle materie su cui intervenire normativamente e amministrativamente. In forza della modifica apportata dalla riforma Ceccanti sarà possibile attivare una procedura analoga a quella descritta nell’art. 116, terzo comma, Cost., e garantire alla capitale d’Italia, su sua specifica istanza, ruolo e potestà normativa, una volta votata la legge che farà propria l’intesa fra Stato, regione Lazio e Roma Capitale.
La proposta riformatrice Barelli, ben costruita, fra le tre è quella che mi pare guardi ad un orizzonte ampio ed articolato. Nel disegno riformatore di Morassut non si riesce a comprendere se diventi Regione la circoscrizione comunale di Roma Capitale o quella (ex) provinciale di Roma città metropolitana: nel secondo caso al Lazio rimarrebbe un territorio residuale, corrispondente alle aree occupate dalle province di Frosinone, Rieti, Latina e Viterbo. La modalità di intervento di Ceccanti è senza dubbio suggestiva: adopera uno strumento già presente nella Carta – e già usato dall’ Emilia Romagna, dal Veneto e dalla Lombardia – estendendolo all’ente Roma Capitale.