Le riforme costituzionali e le leggi ordinarie presentate alla Camera e al Senato affrontate nel dossier di LabParlamento immaginano il futuro ordinamentale di Roma Capitale. Al Senato sono state presentate due proposte, una globale di Manuel Vescovi, un’altra di William de Vecchis di tipo ordinario e attinente soltanto a Roma Capitale; di pari contenuto e tipo è il disegno di legge a firma di Sara de Angelis alla Camera dei deputati, mentre all’esame della Commissione affari costituzionali di questo ramo del Parlamento si trovano tre proposte di legge di natura costituzionale, specifiche sull’architettura istituzionale di Roma Capitale, formulate rispettivamente da Paolo Barelli, Roberto Morassut e Stefano Ceccanti.
Il dibattito sorto negli ambienti politici ed istituzionali è passato nelle sedi propriamente legislative per rimbalzare, poi, nei luoghi del confronto accademico e scientifico. È improcrastinabile la necessità di chiarire una volta per tutte cosa sia Roma Capitale, quale sia la portata della sua natura, del suo ruolo e del suo effettivo peso in seno alla compagine nazionale e regionale, quale la sua forza nelle interlocuzioni unionali ed internazionali e quali i suoi effettivi poteri amministrativi indagando, inoltre, su nuove funzioni legislative.
Le questioni, anche le più complesse sotto un aspetto teorico, sorgono sempre da fatti di ordine pratico. È la quotidianità che partorisce il diritto, non viceversa. Molte vicende che attengono al territorio di Roma ed ai beni su di esso collocati sono molto spesso attraversate da fitte intersezioni di competenze, ossia quelle della Città Eterna che intercettano le attribuzioni della Regione Lazio e delle tante articolazioni statali.
I beni storici ed artistici, corposamente e diffusamente sparpagliati nella circoscrizione romana, coinvolgono plurime e promiscue competenze proprie dei Dipartimenti capitolini, regionali e ministeriali (Ministero della Cultura), oltre che delle Sovrintendenze altrettanto multilivello, scaglionate anch’esse sui medesimi tre piani di governo. Quante competenze vi sono sulla Colonna traiana? Ne risultano tre. E sull’area del Palatino, del Colosseo e dei Fori? Molteplici e incerte.
Per sopperire a questo deficit di razionalità gestionale il d.lgs. 18.4.2012, n. 61, emanato in attuazione della delega contenuta nell’art. 24 L. 5.5.2009, n. 42 (in materia di federalismo fiscale), ha dettato specifiche disposizioni volte ad assicurare il concorso alla valorizzazione dei beni storici e artistici da parte di tutti gli enti interessati (Roma Capitale, Regione Lazio e Ministero della Cultura), prevedendo l’istituzione di una specifica Conferenza delle Soprintendenze ai beni culturali del territorio di Roma capitale.
Tale Conferenza svolge funzioni di coordinamento fra le attività della Sovraintendenza ai beni culturali di Roma capitale e quelle degli organi centrali e periferici del Ministero della Cultura, aventi competenze sul patrimonio storico e artistico romano; la Conferenza è composta da: Direzione Generale per la valorizzazione del patrimonio culturale (Ministero della Cultura), Direzione regionale per i beni culturali e paesaggistici del Lazio (Regione Lazio), Sovrintendenza capitolina (Roma), Sovrintendenza speciale per i beni archeologici di Roma (Ministero della Cultura) e altre Sovrintendenze statali che hanno competenza sui beni storici e artistici sul territorio di Roma Capitale (Ministero della Cultura).
La Conferenza, in quanto sede di coordinamento, non è chiamata a pronunciarsi su singoli interventi, ma solo su iniziative tese a miglioramenti e a rivalutazioni di particolare rilievo. Questo comporta, senz’altro, una parziale soluzione della farraginosità e della confusione dovute all’affastellamento delle sfere di potere fra gli enti poc’anzi indicati. Parziale soluzione, appunto, ma il disordine, talora, o “più che talora”, prosegue imperterrito.
Posiamo lo sguardo, ad esempio, sulla mobilità e sulla duplice competenza del Dipartimento della mobilità e trasporti di Roma Capitale e dell’Atac: la prima afferisce alle scale che dal suolo pubblico scendono verso lo spazio interno della metropolitana, mentre la seconda riguarda quest’ultimo.
I rifiuti sono un settore complesso dai molti volti di attribuzioni che non può non essere lambito dalla nostra riflessione. Il nuovo Piano Regionale di Gestione dei Rifiuti della Regione Lazio 2019-2025, approvato con deliberazione del Consiglio regionale n. 4 del 5 agosto 2020, concorre all’attuazione dei programmi comunitari di sviluppo sostenibile e sostanzia lo strumento di pianificazione attraverso il quale la Regione Lazio definisce in maniera integrata le politiche in materia di prevenzione, riciclo, recupero e smaltimento dei rifiuti, nonché di gestione dei siti inquinati da bonificare.
Il d.lgs. 152/06 prevede dettagliate assegnazioni di competenze in capo allo Stato, alle Regioni, alle Province ed ai Comuni: il primo adotta i criteri generali per la redazione di piani di settore per la riduzione, il riciclaggio, il recupero e l’ottimizzazione dei flussi di rifiuti; le seconde (nel nostro caso la Regione Lazio) predispongono, adottano e aggiornano i piani regionali di gestione dei rifiuti; le Province (Città metropolitana di Roma Capitale) programmano e organizzano il recupero e lo smaltimento dei rifiuti a livello provinciale; i Comuni (Roma Capitale), infine, concorrono alla gestione dei rifiuti urbani e assimilati.
Sulla carta è tutto chiaro e semplice, ma l’esperienza di questi ultimi anni sulla “emergenza rifiuti” che ha sconquassato (e sconquassa) la Capitale, fa ben comprendere che nel concreto la molteplicità di competenze dei quattro livelli di governo determina particolari problemi decisionali.
Non meno grave la situazione di intervento sul “Biondo Tevere”. Il corso dell’acqua è di competenza dell’Autorità di Bacino, organismo a composizione mista dello Stato e della Regione Lazio (e dell’Umbria); le sponde appartengono al demanio regionale laziale; le banchine, da ultimo, rientrano fra le attribuzioni di Roma capitale.
L’esistenza di più competenze che insistono sulla stessa area geografica, quale è quella del Tevere, riguarda la vita reale dei cittadini, e non l’emisfero giuridico-filosofico: il nostro pensiero corre a queste ultime settimane, all’affaire del rifacimento del manto dei “sanpietrini” lungo la pista ciclabile a ridosso delle rive del fiume.
La colata di cemento e di bitume – non ecosostenibile come quella compiuta sotto la Giunta Veltroni – ha ben messo in luce la conflittualità che intercorre tra le competenze sopra esposte. Il Comune di Roma è sì correttamente intervenuto sulle banchine, ma non ha tenuto in debito conto che quanto fatto ha interessato elementi di interesse storico (i “sampietrini”, appunto).
Doveva, pertanto, essere coinvolta almeno la Sovrintendenza capitolina, se non, e a maggior ragione, la Sovrintendenza Speciale di Roma, Archeologia, Belle Arti, Paesaggio (Ministero della Cultura) che, al termine di veementi polemiche, ha provveduto a bloccare i lavori disponendo la riduzione in pristino delle aree. Caro Legislatore, per favore fai presto.