Manca una disciplina chiara e unica per tutto il territorio nazionale. Auto elettriche decisive per l’ambiente
di Chicco Tagliaferri
Spostarsi da un punto all’altro, su piccole o grandi distanze in modo sostenibile: è di questo che proveremo a parlare. Non dal punto di vista delle istituzioni e della politica, ma da quello di chi dentro il mercato si confronta ogni giorno con i bisogni di mobilità delle persone.
La politica – ormai è un luogo comune, il dirlo – è costantemente in ritardo rispetto alla realtà industriale e penso sia un’illusione quella di pretendere che l’impianto legislativo indirizzi e promuova l’innovazione del settore. In Italia purtroppo ciò potrebbe accadere solo molto raramente e in modo del tutto casuale. Per com’è fatto il Paese potremo solo sperare in leggi che regolino a posteriori fenomeni già consolidati nella realtà, senza fare troppo danni e pochi favoritismi.
Torniamo a quanto di nuovo troviamo nella mobilità. Ci sono, è vero, i prodotti industriali (auto, sistemi di ricarica, batterie, etc), ma sono i nuovi modi per organizzare l’offerta ad essere più interessanti: dallo sharing, alle linee di bus a lunga percorrenza low cost, all’inter-modalità organizzata. Insomma, innovazioni a portata di mano anche in Italia e rese possibili dalla capacità straordinaria di raccogliere, selezionare, calcolare, e mettere a disposizione degli utenti un volume enorme di informazioni funzionali alla scelta più efficace (meno tempo e costi) di muoversi.
Comprendere nel profondo questi processi è assai complesso, difficile da prevedere e da indirizzare: ci sono troppe variabili, in questo sistema a razionalità aperta. Meglio allora definire con chiarezza quello che è lecito o non lecito fare (ad esempio quali veicoli elettrici possono circolare) e lasciare spazio a quella miriade di operatori di qualità che si concentrano in Italia, come rilevato dall’ottimo libro presentato di recente, a Roma, da Symbola.
Le auto elettriche ne sono un buon esempio. Nel ciclo urbano sono totalmente competitive con quelle tradizionali. Oltre 100 chilometri di autonomia contro la lunghezza media di 9 chilometri degli spostamenti in città. Hanno confort e sicurezza analoghi e costi di esercizio percorso decisamente inferiori. Con un costo di acquisto che tendenzialmente si ridurrà nei prossimi 2 anni perché la capacità di stoccaggio dell’energia costerà 10 volte di meno: alcuni analisti stimano a 30 dollari il KWh il prezzo delle batteria tra 5 anni.
Non hanno emissioni: fatto importante per la qualità dell’aria delle aree cittadine. Spostare la fonte delle emissioni al di fuori delle concentrazioni di persone in grandi impianti controllati e dotati di sistemi di abbattimento molto efficaci che i motori a benzina non si possono permettere, è un fatto positivo. Ed è ancora più positivo se pensiamo che il mix degli impianti per la produzione elettrica in Italia è costituito per il 40% da impianti da fonti rinnovabili senza emissioni di gas climalteranti.
Senza contare gli inquinanti puntuali – come si definivano un tempo – quelli che hanno un effetto immediato sulla salute dei cittadini: polveri sottili, IPA ed idrocarburi incombusti che le macchine elettriche eliminano completamente.
E che le macchine elettriche siano ormai un sostituto perfetto lo dimostra l’attività di car sharing che opera ormai da 2 anni a Milano, Firenze e Roma con oltre 1.500 auto che ogni giorni percorrono circa 27.000 chilometri.
Le auto elettriche in Italia (abbiamo percentuali ridicole rispetto ad altre aree geografiche) faticano a crescere non solo perché non ci sono infrastrutture di ricarica sufficientemente diffuse. Sono il nostro “ambiente legislativo” e la nostra Amministrazione Pubblica ad essere di freno. Troppo leggi confuse che spesso si contraddicono, iter e regolamenti autorizzativi diversi da Regione a Regione, da Comune a Comune, troppi soggetti che pretendono di decidere ed autorizzare. Ne è la prova l’ultimo bando di 50 milioni di euro completamente finanziato per incentivare la realizzazione delle colonnine di ricarica: alla sua scadenza nel 2016 ha assegnato meno dell’8% dei fondi disponibili.
In assenza di un’assunzione di responsabilità del Legislatore, di una disciplina chiara e unica per tutto il territorio nazionale che dica quello che sia effettivamente possibile fare, e di un passo indietro dei molti soggetti amministrativi coinvolti rischiamo di vanificare il lavoro dei tanti bravi operatori italiani che cercano di innovare e nello stesso tempo di scoraggiare i grandi investitori. Solo i grandi numeri e i grandi investimenti possono incidere positivamente sull’innovazione ambientalmente sostenibile nella mobilità italiana.
Del resto, il cambiamento dei comportamenti dei cittadini non è un fatto culturale o di scelta più o meno consapevole. ll comportamento ambientalmente virtuoso dipende solo ed esclusivamente dalla possibilità e capacità del mercato di mettere a disposizione del Paese un’offerta organizzata e semplice da cogliere.