Si è già avuto modo di intervenire sull’occasione unica per rinnovare la PA che potrebbe derivare da un impiego serio e ragionato delle risorse del PNRR.
Si è osservato che il “decreto reclutamento” si inserisce in tale contesto, rappresentando uno degli strumenti (insieme a semplificazione e governance) attraverso cui dotare rapidamente le pubbliche amministrazioni di personale altamente qualificato e formato.
Tuttavia, non è sfuggito all’occhio attento di chi si occupa di P.A. e professionisti della P.A. da decenni, che le disposizioni legislative sembrano attestarsi al di sotto delle aspettative e incoerenti rispetto alle finalità e agli obiettivi enunciati, dal momento che lo svolgimento dei compiti funzionali all’attuazione degli interventi del piano è demandato a figure dirigenziali amministrative, attinte prevalentemente (o equamente) dall’esterno, per le quali non sono previsti requisiti specifici e specialistici, né criteri stringenti, a fronte di un aumento del numero dei dirigenti e dei costi.
Lo stesso deve dirsi per le competenze professionistiche e specialistiche, per le quali sono previsti incarichi di collaborazione a supporto dei procedimenti amministrativi connessi all’attuazione del PNRR.
Con riguardo a questi ultimi incarichi “di collaborazione” (a tempo determinato), il decreto-legge n.152/2021, appena entrato in vigore (il 7.11.2021) ha previsto una specifica disposizione per i professionisti c.d. “ordinistici”: l’art.31 prevede modifiche alla L. n. 113/2021, disponendo che dopo il comma 7 bis dell’art. 1, sono inseriti due commi, il 7 ter e 7 quater, che stabiliscono: “– Al fine di incentivare il reclutamento delle migliori professionalità per l’attuazione dei progetti attuativi del Piano nazionale di ripresa e resilienza per i professionisti assunti a tempo determinato,(..) non è richiesta la cancellazione dall’albo, collegio o ordine professionale di appartenenza e l’eventuale assunzione non determina in nessun caso la cancellazione d’ufficio. – I professionisti assunti dalle pubbliche amministrazioni ai sensi del comma 7-bis.1, possono mantenere l’iscrizione, ove presente, ai regimi previdenziali obbligatori (..)”.
In tale contesto si è inserito il protocollo firmato dal CNF con il ministero della P.A., dalla cui lettura si ricava come esso sia diretto alla “implementazione dei servizi di inPA” (ovvero il portale del reclutamento), con l’obiettivo di “consentire e agevolare il conferimento di incarichi professionali agli avvocati all’interno della Pubblica amministrazione con l’individuazione di competenze specifiche necessarie alla realizzazione dei progetti del Pnrr”, promuovendo presso “i Consigli degli Ordini degli avvocati il flusso informativo delle occasioni di accesso e selezione, oltre che di monitoraggio, anche attraverso l’integrazione delle banche dati per l’incontro tra domanda e offerta di lavoro pubblico”.
Riassumendo, agli avvocati iscritti all’albo ordinario parrebbe consentito svolgere “attività amministrativa” da dipendenti pubblici a tempo determinato (“collaborazione a supporto dei procedimenti amministrativi connessi all’attuazione del PNRR”), e per la durata del rapporto di impiego pubblico non si procede alla cancellazione né dall’albo né dalla cassa forense. Non viene richiesto, invece, lo svolgimento di attività “forense” da parte di tali soggetti, come lascerebbe supporre il protocollo sottoscritto (“agevolare il conferimento di incarichi professionali agli avvocati all’interno della Pubblica amministrazione”).
Se i timori di contrasto con il regime di incompatibilità, che la professione di difesa dei diritti costituzionali non negoziabili tutela, sono fondati, è anche vero che il d.l. 152/2021 è legge ordinaria e come tale non può sovrastare la legge forense che è invece legge speciale, anzi “eccezionale” per dirla con la Corte costituzionale.
Dunque, il CNF così come ritiene siano da cancellare dall’elenco speciale gli avvocati degli enti pubblici incaricati di svolgere anche funzioni amministrative, allo stesso modo dovrebbero disapplicare tale norma e cancellare dagli albi coloro che svolgono collaborazione a procedimenti amministrativi.
D’altra parte, nella norma del decreto-legge n. 152/2021 non si parla di “avvocati”, ma genericamente di professionisti iscritti agli albi, e, come noto, la P.A. è ricca di professionisti dipendenti iscritti agli albi senza vincolo di esclusività (ingegneri, architetti, psicologi, statistici, pedagogisti, attuariali, ecc.). Pare aleggiare una certa ambiguità in tutto ciò.
Ambiguità colta dall’OCF, dalla Cassa Forense e dal CNF (che pure ha firmato il protocollo d’intesa con PA), secondo i quali la norma andrebbe riformulata “integrando, per il reclutamento di avvocati negli uffici della pubblica amministrazione, una causa di sospensione dall’esercizio professionale, istituto già conosciuto dall’ordinamento forense”.
La preoccupazione dei vertici dell’avvocatura è ben fondata dato che, come già detto, l’attività richiesta ai professionisti del PNRR è di tipo amministrativo, ovvero quel tipo di attività non consentita neppure agli avvocati dipendenti (v. parere CNF 28.2.2017) nel nome del vincolo di esclusività, dell’autonomia ed indipendenza previsto dall’art.18 della L. n. 247/2012, norme tutte volte a garantire dal rischio di conflitto di interessi e dalla lesione del principio di indipendenza ed autonomia dell’avvocato a pena di cancellazione (si pensi che neppure è consentita l’iscrizione all’albo ai dipendenti pubblici con rapporto di lavoro part time -differentemente dalle altre professioni- in ossequio ai medesimi principi).
Così non è per gli avvocati degli enti pubblici, per i quali vige il principio opposto di esclusività. E dunque indipendentemente da quanto regolerà/integrerà la legge ordinaria di cui si discute, dovrebbe trovare applicazione la norma sovraordinata (legge speciale 31.12.2012 n. 247), il cui art. 20, comma 2, dispone che “l’avvocato iscritto all’albo può sempre chiedere la sospensione dall’esercizio professionale”, confermando quanto viene a gran voce richiesto dai vertici dell’Avvocatura italiana.
Difficile attrarre fini professionisti per assegnare loro incarichi di “collaborazione” a supporto dei procedimenti amministrativi connessi all’attuazione del PNRR, inquadrandoli nel funzionariato, per di più a tempo determinato: super specializzati ma privi di autonomia, competitivi ma ingessati nella gerarchia burocratica, deboli per instabilità del rapporto. Intenzioni che vadano in tal senso sono opposte alle dichiarazioni di rendere la P.A. attrattiva delle migliori competenze professionistiche.
Senza costruire la figura del professionista della PA tra adeguatezza della retribuzione, garanzia di autonomia professionale e organizzativa e qualità della prestazione professionale, la PA non sarà mai attrattiva.
Resta una considerazione di fondo: siamo certi che si voglia cogliere l’occasione di rafforzare le professionalità tecnico-specialistiche come elemento di discontinuità e di competitività della Pubblica Amministrazione, e non piuttosto limitarsi a reclutare in tempo di crisi, velocemente e per breve periodo, professionisti subalterni agli apparati e alle burocrazie?
È questo il nuovo corso verso cui la professione forense, che ha ambizioni di costituzionalizzazione, vuole andare?