Bankitalia compra i titoli di Stato cinesi per le sue riserve. Tria insiste per la Belt and Road Initiative ma la Cina ha già scelto il Pireo
di Valentina Magri
Si è conclusa sabato scorso la visita in Cina del Ministro dell’Economia Tria e del vicedirettore generale di Banca d’Italia Fabio Panetta. Una missione, articolata tra Pechino e Shanghai, con l’obiettivo dichiarato di “rafforzare ulteriormente i rapporti economia fra i Italia e Cina che possono trarre reciproco vantaggio da una intensificazione delle relazioni economiche, finanziarie e commerciali. A Pechino il ministro ha avuto un incontro bilaterale con il ministro delle Finanze cinese Liu Kun, un colloquio con il governatore della People’s Bank of China, Yi Gang e un incontro con la comunità d’affari italiana in Cina (Camera di Commercio, ICE e imprese). A Shanghai, ha visitato la Borsa, le autorità locali e imprese cinesi e italiane.
Il titolare di via XX settembre ha smentito le notizie pubblicate sui giornali secondo cui la visita in Cina fosse motivata dalla volontà di convincere i cinesi ad acquistare i titoli di Stato italiani, anche alla luce dell’avvicinarsi del termine del QE, e con esso anche dell’acquisto delle obbligazioni governative italiane da parte della Bce. Non sappiamo se Tria abbia richiesto o meno ai cinesi di acquistare titoli di Stato italiani; quel che è certo è che i cinesi hanno convinto gli italiani ad acquistare i loro. Banca d’Italia ha deciso di diversificare le sue riserve valutarie, costituendo un portafoglio in renminbi (la valuta cinese), i cui investimenti riguarderanno principalmente titoli di Stato cinesi (qui la nota di Banca d’Italia). Banca d’Italia ha dichiarato che questa scelta riflette “l’accresciuto ruolo del renminbi come valuta internazionale, testimoniato anche dal suo inserimento nel paniere delle valute di riserva del Fondo Monetario Internazionale nel 2016, e l’importanza della Cina quale partner commerciale del nostro Paese”. “Ci sarà un portafoglio titoli acquistati direttamente dalla Banca d’Italia per una quantità contenuta in rapporto all’entità delle riserve, ma con un valore segnaletico importante”, ha precisato Panetta.
Dal canto suo Tria ha cercato di convincere i cinesi della possibilità di collaborare con l’Italia per la Belt and Road Initiative marittima, sviluppando i porti italiani del Nord Tirreno e del Nord Adriatico. Con il direttore del Silk Fund Road, Wang Yanzhi, Tria ha parlato anche di possibili collaborazioni delle nostre imprese in Paesi terzi lungo la via della Seta. Peccato che ormai, complici i ritardi e le resistenze italiane, il principale hub commerciale marittimo cinese è il porto del Pireo, in Grecia e la Cina ha programmato investimenti in altri porti che si affacciano sull’Adriatico.
Ricordiamo anche che il Ministro dell’Economia ha anche presenziato alla firma del memorandum of understanding tra la SNAM e State Grid International Development, controllata al 100% dalla State Grid Corporation of China, la maggiore utility energetica al mondo. Infine, il ministro ha cercato di rassicurare gli investitori sull’affidabilità finanziaria dell’Italia e sulla sua volontà di restare in Europa. Anche se a giudicare dal magro bilancio di questa missione, i cinesi sembrano scommettere poco sull’Italia.