Ci risiamo: non basta il proliferare di esperti in virologia che ci dicono cosa fare o non fare con il COVID, adesso si moltiplicano pure gli esperti di finanza pubblica che discettano sul Meccanismo Europeo di Stabilità, il fantomatico MES. Fino a quando la discussione rimane nei salotti (oggi sarebbe meglio dire nelle chat) fra amici, ovviamente nessun problema, ma sentire parlare di cose finanziarie da i Laqualunque che frequentano i mezzi di comunicazione ed anche il Parlamento, personalmente mi inqueta.
Anche su questo argomento basta poco per approfondire e capirne di più: il MES prosegue l’opera del Fondo europeo di stabilità finanziaria (FESF) ed è formalmente una organizzazione intergovernativa regolata dal diritto pubblico internazionale, con sede in Lussemburgo. I suoi azionisti sono i paesi della zona euro e le sue modalità operative sono quelle tipiche di un fondo che raccoglie risorse presso gli investitori sui mercati e finanzia i paesi associati per favorirne la stabilità finanziaria. Il MES, infatti, può concedere prestiti, acquistare titoli del debito sui mercati finanziari, fornire assistenza finanziaria attraverso linee di credito e ricapitalizzare istituzioni finanziarie tramite prestiti ai governi dei suoi Stati azionisti. Insomma, nulla di diverso da quello che fa una società finanziaria che opera nel settore privato.
Da questa breve descrizione ne deriva che, per poter stabilire se conviene o meno all’Italia rivolgersi al MES, può essere utile servirsi degli stessi strumenti di valutazione adottati da una qualsivoglia impresa quando deve decidere come finanziare il proprio debito, avendo come alternativa o il ricorso diretto al mercato del risparmio, mediante l’emissione di titoli (obbligazionari o azionari), o invece chiedere risorse finanziarie direttamente ad un istituto finanziario ottenendo un prestito oneroso. A ben vedere, infatti, questa è la medesima scelta che tanto fa discutere gli italiani: meglio ricorrere al MES (società finanziaria) ottenendo un finanziamento, ovvero è preferibile chiedere ai risparmiatori di sottoscrivere obbligazioni del debito pubblico?
Senza volere impartire lezioni di finanza a nessuno, è abbastanza facile capire che, se si ricorresse ad un unico soggetto erogatore delle risorse, le conseguenze a cui andrebbe incontro il percettore dei denari sarebbero certamente almeno due. In primo luogo, il finanziatore vincolerà l’effettivo esborso al verificarsi di alcune condizioni che saranno più o meno stringenti in funzione del rischio sopportato dallo stesso finanziatore rispetto alla possibilità di riavere indietro i propri soldi: in altre parole, in base alla solvibilità del debitore saranno richieste condizioni più o meno gravose. La seconda controindicazione si materializza nel momento in cui il debitore all’atto di decidere come utilizzare le risorse ottenute non potrà non tener conto del parere di chi queste risorse gliele ha prestate: e questo a prescindere dal fatto che l’accordo di finanziamento regoli o meno questa situazione (ma nella maggioranza dei casi esiste una clausola contrattuale che vincola l’uso delle risorse al benestare del finanziatore). Questo sarebbe lo scenario che ci troveremmo di fronte come Paese ricorrendo al MES, pur volendo immaginare la più ampia flessibilità da parte dell’Europa o, come scrive la Banca di Italia in un proprio documento illustrativo del MES, non esistendo né “un meccanismo automatico di ristrutturazione dei debiti sovrani”, né un automatismo tra la richiesta di assistenza finanziaria di un paese e la verifica preliminare di sostenibilità del debito pubblico.
E badate bene, saremmo di fronte al normale modo di operare di un qualsiasi finanziatore, non avendo tutto ciò niente a che fare con sovranismo, nazionalismo, populismo o altra posizione ideologica, che spinga verso una ostilità più o meno preconcetta verso le istituzioni europee: questo è il mercato finanziario, bellezze, e così funziona da sempre, diversamente, staremmo parlando di un “quasi” contributo a fondo perduto, di una regalia.
Se, poi, si osserva l’esito delle emissioni di titoli del debito pubblico italiano che continuano ad essere effettuate in questi mesi con risultati più che positivi (emissioni tutte collocate senza particolari problemi ed a tassi assolutamente contenuti e vantaggiosi), si può constatare come l’Italia goda ancora di una certa credibilità finanziaria sui mercati (si potrebbe dire, in termine tecnico, di un rating creditizio accettabile): e allora, siamo sicuri che valga la pena andarci a
“sottomettere” alle richieste, pur legittime e doverose a tutela del proprio credito, di un solo finanziatore, quando possiamo benissimo finanziarci accedendo ad un mercato ampio e numeroso, che ovviamente non sarà così “presente” come invece deve essere l’unico fornitore di capitali.
E non parliamo di minori tassi di interesse, perché, gioco forza, ricorrendo al MES, si passa per una “doppia intermediazione”: il MES, infatti, per poter erogare i capitali si deve a sua volta far finanziarie e, anche se non paga interessi passivi ai suoi soci che gli forniscono le risorse, ha comunque una struttura da tenere in piedi, con conseguenti costi da scaricare sui propri debitori. La “doppia intermediazione” è il meccanismo che rende le banche necessariamente più costose del ricorso diretto al mercato, mediante emissioni obbligazionarie. Senza considerare che allo stato attuale, sui mercati finanziari, le differenze di tasso si misurano in centesimi percentuali: ma quand’anche i BTP fossero più costosi dello 0,01% rispetto al prestito MES (e abbiamo cercato di dimostrare che non può ragionevolmente essere così), le altre considerazioni sopra espresse spingono chiaramente ad evitare quest’ultimo.
Quindi, anche in termini di costi, i titoli del debito pubblico sono più economici del prestito MES, o se volete una visione più ampia non solamente economicista, i titoli del debito pubblico, a parità di costo, portano con sé più benefici. La finanza ha regole precise che non possono essere assoggettate alle polemiche politiche: non conta essere europeisti o sovranisti, conta come usare al meglio i capitali.