La Germania vira forte sul risparmio, fa calare i suoi investimenti e mette in pericolo la sua economia e quella di tutta l’Eurozona
di Francesco Scolaro
Anche il Fondo Monetario Internazionale se n’è accorto: l’economia tedesca rallenta la sua corsa nel corso del 2018 e le stime di crescita del PIL scendono al 2,2% dal 2,5% della precedente previsione di inizio anno.
In Italia siamo ormai abituati a percentuali di crescita, quando va bene, da numero primo (proprio il primo) o da “zero virgola” per cui un dato come quello tedesco verrebbe accolto da una standing ovation, ma trattandosi della principale e più solida economia dell’Eurozona i segnali che arrivano non fanno presagire nulla di positivo (va tuttavia detto che lo stesso FMI ha visto al rialzo le stime per il 2019).
Nonostante i dati non siano in linea con le aspettative di inizio 2018, la Germania quasi certamente farà segnare un nuovo record per quanto riguarda l’avanzo commerciale (la differenza tra import ed export): entro fine anno potrebbe essere superata la soglia eccezionale dei 300 miliardi di dollari, circa l’8% del PIL, il più alto al mondo. Per fare un paragone impietoso, l’Italia nel 2017 ha chiuso con un saldo positivo di circa 55 miliardi di dollari, il più alto mai registrato prima ma lontano anni luce da quello tedesco e, sorpresa, anche da quello olandese pari a circa 81 miliardi di dollari. A nostro favore va però sottolineato come tutti gli altri Paesi europei siano alle nostre spalle e, soprattutto, come la performance tedesca superi il tetto imposto dall’UE (il 6% del PIL) provocando squilibri macroeconomici in tutta l’Eurozona.
Ma torniamo alla Germania. La locomotiva sarebbe in procinto di frenare a causa di una gestione del suo incredibile surplus commerciale improntata sulla prudenza e sulla paura. Stando a quanto segnala Julie Kozack del Fondo Monetario Internazionale, le aziende tedesche stanno facendo ormai da anni profitti elevatissimi ma non stanno re-iniettando questa enorme quantità di denaro nell’economia: non aumentano i salari, non vengono distribuiti robusti dividendi e soprattutto non si fanno adeguati investimenti pubblici. Il risultato è una crescita esponenziale del risparmio in pancia alle banche nonostante i tassi d’interesse siano negativi, con conseguente assottigliamento del capitale.
In questa fase che si prevede complicata, anche il settore creditizio tedesco non potrà essere di grande aiuto dato che i due più grandi gruppi bancari insieme capitalizzano quanto la sola Unicredit, tanto che Deutsche Bank è da poco uscita dall’Eurostoxx 50 – l’indice delle principali blue chip del mercato azionario europeo – anche a fronte del fatto che dal 2007 al 2017 il titolo ha perso in Borsa il 90% del suo valore.
Sembrerebbe quindi che, dopo almeno 10 anni di crescita stabile, il Paese guidato dalla Cancelliera Angela Merkel abbia smesso di pensare al futuro e si stia preparando a tempi difficili, richiudendosi a riccio come per difendersi da tutto e da tutti, riducendo il capitale destinato agli investimenti in patria (rispetto al fatturato, il tasso di investimenti lordi è peggiore di quello italiano) e facendo venire meno il sostegno al suo potenziale di crescita di lungo termine.
E se l’allarme riguarda la Germania, il pericolo interessa tutto il Vecchio Continente: le scelte tedesche avranno un impatto su tutti gli Stati europei che potrebbero fare ancora più fatica a risollevarsi in un contesto economico sempre più sfidante e più interconnesso.