Prima assemblea di Elettricità Futura. Il confronto politico e i “messaggi” dell’Autorità
L’associazionismo elettrico nazionale compie un passo importante nel nome della transizione energetica. Questo, almeno nelle intenzioni, l’obiettivo di Elettricità Futura, l’organismo istituzionale nato dall’integrazione di Assoelettrica e assoRinnovabili che ha tenuto oggi, a Roma, la prima assemblea all’indomani della costituzione avvenuta lo scorso 27 aprile.
Termoelettrico tradizionale e fonti rinnovabili, “diavolo e acqua santa”, dunque, assieme dopo anni di contrapposizione anche dura; sul tavolo le nuove opportunità offerte dalla generazione distribuita, dall’innovazione tecnologica, dalla stessa decarbonizzazione e dalla spinta che proviene dai risultati ottenuti dall’efficienza in un contesto di mercati sempre più integrati e concorrenziali, a fronte del calo perdurante dei consumi.
Secondo il neo presidente, Simone Mori, adesso “le imprese elettriche, indipendentemente dalle tecnologie e filiere di appartenenza, acquisiranno voce più autorevole per contribuire a trasformare lo scenario energetico italiano ed europeo”. “Una fusione – sottolinea dal canto suo il presidente di assoRinnovabili, Agostino Re Rebaudengo – che saprà interpretare e tutelare al meglio gli interessi di tutta la filiera elettrica”, accennando così ad uno dei temi più delicati dell’integrazione ovvero il rischio che il settore elettrico, a fronte delle attuali regole rappresentative di Confindustria di cui EF fa parte, venga a pesare più delle Fer nelle scelte più delicate.
Per intanto, si prende atto che l’associazione conta oggi 700 operatori, con migliaia di impianti per un totale di più di 76.000 MW di potenza elettrica installata tra convenzionale e rinnovabili con oltre 40.000 addetti. Quanto alla governance, i vicepresidenti designati sono Valerio Camerano (produzione convenzionale) e Agostino Re Rebaudengo (generazione distribuita e efficienza), che si affiancheranno agli attuali, Lucia Bormida (produzione da rinnovabili) e Roberto Potì (mercato).
Durante il convegno che ha accompagnato l’assemblea, il tema della transizione energetica, anche in vista dell’imminente presentazione della Sen, è rimasto centrale. I senatori Massimo Mucchetti (Pd) e Gianni Girotto (M5S) assieme ai deputati Ermete Realacci (Pd) e Ignazio Abrignani (Ala) su una cosa sembrano convergere: l’uscita dal carbone a vantaggio del gas come tappa intermedia, anche se questo comporterà altri problemi da risolvere, per esempio interventi sulla logistica del metano
Dibattito non esente da polemiche, quello andato in onda nell’occasione, con oggetto temi “storici” come quelli dell’incentivazione delle rinnovabili e della fuoriuscita dal nucleare oppure di attualità, auto elettrica (“scontro” tra due anime del Pd, Mucchetti e Realacci, che prefigura panorami a rischio in altri settori per il post primarie a Renzi vittorioso). Mentre il contrasto Pd-M5S si è confermato in tutta la sua evidenza anche nell’energia laddove il gettare il cuore oltre l’ostacolo dei Cinque Stelle (Girotto: “Asticelle nazionali ancora troppo basse rispetto all’Europa…”) lascia il posto a un pragmatismo pur non esente da critiche nelle parole di Realacci che richiamano l’importanza di quanto si è fatto in ambito rinnovabili (“…ma ora bisogna sviluppare più settorialmente, semplificando gli iter come per la Via…”) e si potrebbe ancora fare in quello dell’autoproduzione per le comunità di utenti.
Volando più alto, d’accordo tutti semmai sul prendere con le molle, almeno per ora, la nuova politica Usa in tema di ambiente ed energia. Esiste una forza delle cose – il parere unanime – che non renderà in discesa la svolta trumpiana. Cominciando dalle scelte della “grande finanza” per il business ambientale passando per gli interventi assai “forti” già in essere da parte di numerosi Stati americani, come la California, per arrivare alle inevitabili decisioni del mercato tra le convenienze delle diverse fonti.
A chiudere l’Autorità per l’Energia che il senatore Girotto “accusa”, nell’attuale status energetico, di assumere decisioni che spetterebbero al Parlamento, “accuse” rimandate al mittente dal presidente, Guido Bortoni (“Tranqulli, tra nove mesi ci sarà un altro Collegio…”).
Due i “messaggi” che ha lanciato per il mercato elettrico nell’ottica di un fine mandato, uno per l’ingrosso e uno per il retail.
Sotto il primo profilo, la questione del favore crescente per l’adozione dei contratti a lungo termine, che hanno numerosi risvolti positivi (a cominciare dai nuovi investimenti nelle Fer), ma si scontrano con la ritrosia di produttori e consumatori ad assumere impegni di pari durata. La “ricetta”? Puntare su strumenti che favoriscano il processo del tipo “obblighi dal lato domanda”, ricorso alle “aste Fer” e ai meccanismi di capacità (per inciso, ha aggiunto, “se avessimo adottato il capacity market tre anni fa, quando eravamo in piena overcapacity, avremmo potuto contare sul prezzo più basso d’Europa…”).
Sotto il secondo, l’esistenza, oggi, di due fenomeni (il “fare” energia da parte di professionisti diciamo così tradizionali e quello appannaggio della produzione distribuita e dell’autoconsumo, comunque di sistemi sempre più decentralizzati) che mette in discussione diversi meccanismi parafiscali come quello degli oneri generali di sistema che a titolo corrispettivi per il trasporto pesano in tariffa e la cui riscossione sconta adeguate garanzie finanziarie. Si potrebbe pensare, al riguardo, ad un diverso status giuridico con un assetto più fiscale, propone Bortoni, ovvero un “canone” che si riscuote senza bisogno di garanzie, situazione che “in piccolo” si è già sperimentata con l’abbinamento del canone Rai in bolletta. Tematiche, evidentemente, per il prossimo Collegio.