Al voto le nuove regole per rafforzare i controlli sugli inquinanti. I possibili scenari post- Dieselgate
di Maria Carla Bellomia
Si avviano finalmente ad una conclusione i negoziati aperti oltre una anno fa tra Commissione, Parlamento e Consiglio dell’Ue sulla riforma dell’omologazione e della vigilanza del mercato dei veicoli a motore, intrapresa a livello comunitario a seguito dello scandalo Dieselgate, scoppiato nel 2015.
E’ infatti prevista per domani, alle ore 15, la votazione, in seduta plenaria, del compromesso frutto di un lungo lavoro di negoziazione tra le tre principali istituzioni europee – il cd. trilogo – per rafforzare, in risposta al caso Volkswagen, il sistema europeo di omologazione dei veicoli, in particolare per quanto riguarda le norme sulle emissioni inquinanti.
E’ stato proprio lo scandalo Volkswagen ad accendere i riflettori sul fallimento dell’attuale sistema di rilascio delle omologazioni e sui livelli di inquinamento delle vetture diesel circolanti sulle strade europee, con valori molto superiori a quelli consentiti dagli standard comunitari. Solo in Italia, si stima che siano milioni le vetture responsabili di almeno 21.600 morti premature ogni anno a causa dei livelli di particolato e biossido d’azoto fuori controllo.
La proposta di riforma del regolamento europeo “Type Approval Framework Regulation”, meglio conosciuta come “Dalton report” dal nome del suo relatore l’eurodeputato Daniel Dalton (Gruppo dei Conservatori e Riformisti Europei/ECR), è stata approvata lo scorso 23 gennaio dalla commissione per il mercato interno e la protezione dei consumatori (IMCO) del Parlamento europeo e interviene, apportando alcune sostanziali modifiche, sulla proposta originaria di regolamento presentata della Commissione Ue, formulata a partire dei lavori della commissione d’inchiesta sulla misurazione delle emissioni nel settore automobilistico (EMIS).
L’accordo raggiunto con il Consiglio in sede di negoziati interistituzionali, introduce una serie di modifiche che dovrebbero garantire una maggiore indipendenza e trasparenza dei test ambientali e sulla sicurezza e un controllo rafforzato e più rigoroso sule vetture già in circolazione.
Tra gli elementi di novità più rilevanti, introdotti dal Rapporto Dalton rispetto alla proposta della Commissione europea, vanno menzionati la limitazione a cinque anni della validità dei certificati di omologazione, senza possibilità di proroga, e il ricorso a controlli a campione sulle auto in circolazione da parte delle autorità di vigilanza del mercato.
Anche le competenze attribuite alla Commissione nell’ambito della supervisione sulle omologazioni vengono rafforzate, come il potere di modificare le misure adottate dalle autorità nazionali di omologazione, di effettuare controlli a campione sui veicoli e di comminare ai costruttori sanzioni amministrative fino a 30 mila euro per ciascun veicolo o sistema non conforme. Secondo quanto previsto dal Parlamento europeo, le entrate derivanti dalle sanzioni saranno poi utilizzate per la sorveglianza del mercato, a beneficio dei consumatori o per la tutela dell’ambiente.
Per quanta riguarda la qualità delle prove, almeno il 20% di queste dovranno riguardare le emissioni e le autorità nazionali di vigilanza del mercato saranno obbligate a svolgere controlli su un veicolo ogni 40 mila veicoli immatricolati nel paese l’anno precedente.
Gli Stati membri dovranno poi erogare fondi sufficienti per le attività di sorveglianza e conferire alla Commissione la facoltà di effettuare una valutazione delle procedure messe in atto dalle autorità di omologazione negli Stati membri.
Non sono mancate le critiche tra chi, come le case costruttrici o le autorità nazionali competenti, si sono lamentate per un aggravio procedurale, dovuto all’introduzione di criteri più stringenti e restrittivi, che potrebbe portare ad un aumento di costi o ad un’eccessiva ingerenza della Commissione europea in un ambito finora sottratto ad una sorveglianza rafforzata.
Certo è che le maggiori responsabilità del fallimento del sistema attuale vanno ricercate proprio nell’incapacità, o forse nella mancata volontà, dimostrata in questi anni dalla Commissione Europea, dagli Stati Membri e dalle Autorità Nazionali, di far rispettare a pieno le regole sulle emissioni inquinanti dei veicoli diesel, anche a causa dell’emergere di conflitti di interesse tra le case automobilistiche, i Governi nazionali e le stesse Istituzioni europee.