I temi sul tavolo. La difficile mediazione tra ordini professionali e non affidata alla relatrice, Sen. Annamaria Parente (PD)
Sono riprese ieri le audizioni sul disegno di legge relativo al cosiddetto “equo compenso”. Provvedimento nel quale si propone, tra l’altro, una regolamentazione della responsabilità dei professionisti, stabilendo che il giorno della esecuzione della prestazione sia il momento da cui far decorrere il termine di prescrizione della responsabilità civile dei medesimi professionisti.
Il provvedimento, ddl 2858, sta scaldando i professionisti. Per alcuni versi quelli appartenenti agli ordini professionali, per altri versi quelli che fanno riferimento alla legge 4 del 2013. La difficile mediazione spetta alla relatrice del provvedimento, la sen. Annamaria Parente (PD), che ha peraltro stimolato questo confronto tra ordini e professioni non ordinistiche sin dalla sua prima relazione sul provvedimento, osservando che per le professioni non ordinistiche non esistono parametri di determinazione dei compensi.
Prima della pausa estiva, la Commissione Lavoro del Senato aveva ascoltato solo il Comitato Unitario delle Professioni che aveva espresso una posizione di sostanziale condivisione dichiarando che “il disegno di legge non può che essere accolto con favore dal mondo delle professioni in primis, ma più in generale anche dai cittadini”, precisando, al contempo, che il ddl Sacconi riguarda principalmente gli ordini professionali.
Più tenui invece, se non addirittura di tutt’altro avviso, almeno per quanto riguarda la platea di destinatari delle norme contenute nel provvedimento in discussione, le cosiddette “professioni non ordinistiche” audite proprio in questi giorni, le quali giocano su questo provvedimento una partita di più ampio respiro rispetto ai singoli articoli e commi del ddl in esame.
Il Coordinamento Libere Associazioni Professionali (Colap), ascoltato nel pomeriggio del 19 settembre, ha infatti evidenziato che “Se è vero che il principio costituzionale ispiratore della norma, secondo quanto si legge nel disegno di legge, è l’art.36 cost.( Proporzionalità del compenso), è allo stesso modo vero che l’art.3 della costituzione (Principio di uguaglianza) enuncia un principio di uguaglianza dal quale non si può parimenti prescindere. Pensiamo che una norma di legge debba essere armonizzata sia con il contesto normativo esistente sia con la realtà sulla quale dovrà spiegare i suoi effetti”.
Sulla scia di tale premessa, il Colap ha proposto “l’eliminazione delle previsioni relative alle tariffe minime (anche se si chiamano equi compensi) sia per gli ordinisti che per i professionisti ai sensi della legge 4/2013 – perché non aiutano i giovani professionisti, perché sarebbero inapplicabili, e perché riconducono il lavoro autonomo nel modello di quello dipendente; l’introduzione dei parametri minimi fissi limitatamente ai rapporti con la P.A, sia per i professionisti ordinisti che per i professionisti associativi, eliminando laddove è possibile il minimo ribasso e le prestazioni gratuite e l’apertura del tavolo di cui all’art.17 della legge 81/2017 (Tavolo tecnico di confronto permanente sul lavoro autonomo) come sede di confronto e lavoro per la determinazione dei parametri”.
Acta, associazione dei freelance, ha parimenti evidenziato che “il ddl si rivolge solo ai professionisti ordinisti” ed ha sottolineato, a tal proposito, che “il tema dei compensi inadeguati e in continuo ribasso è sicuramente comune a tutti i professionisti, ha le stesse origini e implicazioni e va affrontato con gli stessi strumenti”.
Circa poi la portata e la tempistica della norma, Acta ha espresso una serie di dubbi sostenendo che “rispetto alla situazione attuale di totale far west, in un contesto internazionale aperto e senza regole comuni, l’introduzione di parametri obbligatori e applicati a imprese e pubbliche amministrazioni è probabilmente un obiettivo da raggiungere ma deve essere gestito con gradualità e monitorato nei suoi effetti, onde evitare di alimentare una competizione internazionale al ribasso e/o l’utilizzo diffuso di pratiche volte ad aggirare la legge”. Sul punto, per l’associazione dei freelance, la ricetta potrebbe essere quella di applicare e monitorare la normativa, in primis, per quanto riguarda la regolamentazione dei rapporti professionali con la Pubblica Amministrazione.
Confprofessioni, per bocca del Presidente Gaetano Stella, ha posto l’accento, dati alla mano, sulla contrazione dei redditi reali dei professionisti degli ultimi anni evidenziando come nel periodo 2005 – 2015 questa contrazione abbia fatto registrare un meno 18%, esprimendo, pertanto, un apprezzamento per questo provvedimento, anche se con qualche osservazione. In primis, Confprofessioni ha evidenziato che il tema trattato nel disegno di legge in discussione si sarebbe dovuto affrontare nell’ambito della legge sul lavoro autonomo (la n. 81 del 2017) onde evitare di costruire una normativa per le professioni segmentata e confusa. La posizione dunque, anche in questo caso, è di “estendere” le norme del ddl 2858 anche alle professioni ex lege 4 del 2013.
Inoltre, Confprofessioni ha evidenziato che le maggiori criticità derivanti dall’abolizione delle tariffe sono rinvenibili nei casi in cui i servizi professionali sono resi a favore della pubblica amministrazione ed ha pertanto indicato come prioritario un intervento proprio in questo specifico ambito.
Parimenti, Confprofessioni ha suggerito alla Commissione e alla relatrice, la Sen. Annamaria Parente (PD), di prevedere anche di contemplare nella proposta in discussione una riflessione sui “rapporti di collaborazione c.d. “orizzontali” tra professionisti ed altri soggetti professionali, quali studi professionali, Società tra professionisti e società di servizio all’attività professionale”
Stamane, 20 settembre, è stata poi audita la Confederazione delle Associazioni Professionali (Confassociazioni) presieduta da Angelo Deiana.
Il tema che stiamo affrontando – ha esordito Confassociazioni –è quello relativo alla normazione sulle professioni. In questo ambito, la dualità (anche giuridica) delle regolazioni esistenti (modello ordinistico, modello associativo) introdotta dalla Legge 4/2013 ci deve far interrogare su quale sia lo strumento migliore per realizzare gli scopi della normazione stessa sulle professioni che, come sappiamo, deve garantire la tutela dei consumatori nel pieno rispetto delle regole UE. Ovvero senza introdurre, attraverso inutili trincee anacronistiche, restrizioni o monopoli che precludano la libera circolazione delle persone e dei servizi generando ostacoli alla crescita del mercato.
“Le trincee anacronistiche”, ha spiegato Confassociazioni, riguardano “proprio la richiesta di recuperare le tariffe minime trovando nel tema delle asimmetrie tra la forza del professionista e la forza del contraente, in particolare della Pubblica Amministrazione e delle grandi imprese (banche, assicurazioni, eccetera), un appiglio per costruire una piattaforma di ripristino delle tariffe minime proprio partendo dalla previsione di cui al DdL 2858“.
D’altra parte – ha proseguito Confassociazioni – se il problema fosse veramente l’asimmetria nei confronti dei grandi clienti, il disegno di legge in oggetto dovrebbe cercare di mirare all’obiettivo principale circoscrivendo l’oggetto della normazione solo a tali rapporti, in particolare a quello con la Pubblica Amministrazione. I rapporti con tali contraenti potrebbero essere regolati con una serie di parametri discussi e condivisi nel tavolo sul lavoro autonomo previsto dall’art. 17 della Legge 81/2017, dove tutti i soggetti di rappresentanza del lavoro autonomo sarebbero in automatico invitati e messi sullo stesso piano.
E poi, “l’ultimo presupposto strategico. Il più importante per Confassociazioni. Quello per cui nel disegno di legge 2858, c’è un convitato di pietra: il sistema associativo-professionale di cui alla Legge 4/2013. Eppure si tratta di un sistema con numeri importanti: più di 3,5 milioni di professionisti, di cui 1,5 milioni riuniti in circa 1500 associazioni. Persone che producono in base ai dati di importanti istituti di ricerca almeno il 9% del PIL e, con le aziende collegate, più del 21% della ricchezza nazionale“.