Secondo la Commissione Ue, il programma migliora le prospettive di carriera e rende più innovative le università. In discussione il suo finanziamento per i prossimi sette anni
Erasmus+ ovvero il volto buono dell’Europa: uno dei programmi – a ragione – più famosi e di successo dell’Unione europea torna alla ribalta dopo la pubblicazione di due studi che ne certificano il valore aggiunto per chi cerca lavoro. E non solo.
Le indagini diffuse dalla Commissione europea e basate sulle risposte degli stessi beneficiari, misurano e analizzano gli effetti di Erasmus+ sull’istruzione superiore e sui partenariati strategici, valutando in termini più che positivi l’incidenza del programma sia sui singoli studenti beneficiari sia sulle organizzazioni nel loro insieme.
Il quadro che ne emerge è a dir poco incoraggiante: Erasmus+ fa bene non solo ai laureati ma anche al personale accademico e più in generale a tutto lo staff impiegato nelle università, aumentando da una parte il successo degli studenti nella vita personale e professionale e, dall’altra, rendendo più innovative le stesse università.
La pubblicazione di entrambi gli studi arriva – non a caso – proprio mentre a Bruxelles stanno andando avanti i negoziati per l’approvazione del finanziamento del nuovo programma Erasmus, per il prossimo settennio 2021-2027, nell’ambito della definizione del futuro bilancio Ue. A fronte del successo fatto registrare dal programma, il Parlamento europeo ha infatti chiesto alla Commissione di triplicare il budget a disposizione di Erasmus, portandolo alla cifra record di 41 miliardi di euro, per allargare ancora di più la platea dei partecipanti nei prossimi anni.
Sono oltre 2 milioni di persone, tra studenti e personale dell’istruzione superiore, coloro che tra il 2014 e il 2018 hanno beneficiato di un periodo di apprendimento, formazione o insegnamento all’estero nell’ambito del programma Erasmus+.
Secondo le recenti stime diffuse dall’Ue lo scorso maggio, quasi l’80% dei laureati che ha vissuto un’esperienza all’estero, grazie al programma dell’Unione per l’istruzione e la formazione, trova un posto di lavoro entro tre mesi dalla laurea, mentre nove ex studenti Erasmus+ su dieci dichiarano di utilizzare, nel lavoro quotidiano, le competenze e le esperienze acquisite all’estero.
Tra queste abilità che risultano maggiormente rafforzate grazie all’esperienza Erasmus+ ci sono a sorpresa le competenze digitali: i risultati mostrano infatti come il programma dell’UE contribuisce a sostenere la trasformazione digitale e a preparare i giovani europei alla nuova era dell’informazione.
Questo è vero anche sul fronte accademico, dove Erasmus e i suoi progetti di cooperazione internazionale e scambio tra le università partecipanti rappresentano un importante veicolo per arrivare preparati all’era digitale, proprio grazie al ricorso alle nuove tecnologie e a metodi di insegnamento e apprendimento innovativi. La capacità delle università di rispondere alle sfide dell’innovazione viene infatti sensibilmente aumentata dalla partecipazione al programma Erasmus: oltre l’80% degli accademici intervistati, sostiene che l’esperienza all’estero ha portato allo sviluppo di programmi di studio più innovativi e che il personale accademico che ha fatto ricorso al programma Erasmus+ è più incline a coinvolgere personale del mondo aziendale nei propri corsi rispetto agli omologhi che non hanno viaggiato (circa il 60% rispetto al 40%).
Tra i dati più interessanti che emergono dal sondaggio c’è proprio quello che vede – grazie alle esperienze fatte con Erasmus+, un accrescimento della capacità di rispondere alle esigenze del mercato del lavoro, sia da parte delle università sia degli stessi studenti: il programma sarebbe infatti in grado di affrontare gli squilibri tra domanda e offerta grazie allo sviluppo di quelle competenze trasversali e interdisciplinari che vengono richieste dalle imprese.
E così il 40% degli studenti in mobilità Erasmus per tirocinio si è visto offerto un contratto di lavoro dall’impresa ospitante, mentre il 75% ha sviluppato uno spiccato spirito di autoimprenditorialità ed ha quindi pensato di aprire o ha aperto una impresa. Dagli studi emerge infatti che un progetto di cooperazione su quattro di quelli realizzati in ambito Erasmus ha contribuito all’educazione imprenditoriale mentre un terzo dei progetti ha contribuito a creare spin-off e start-up.
Erasmus migliora poi il senso di soddisfazione per il proprio posto di lavoro, apre le porte ad una carriera più internazionale e offre quasi il doppio delle probabilità di lavorare all’estero. Senza contare i vantaggi offerti dal multilinguismo.
Oltre ad un nuovo approccio strategico alla mobilità, Erasmus+ contribuisce infine ad accrescere il senso di inclusione sociale e di identità europea, elementi questi non trascurabili, soprattutto in un momento in cui i nazionalismi sono in preoccupante ascesa.
Insomma, tutti risultati che difficilmente gli Stati membri avrebbero potuto conseguire da soli, senza il supporto del programma comunitario. Ed è proprio qui che troviamo il valore aggiunto di Erasmus per l’Italia.
D’altra parte, in uno scenario nazionale – come il nostro – dove gli strumenti di raccordo tra il mondo universitario e quello del lavoro rimangono ancora troppo carenti, un programma come Erasmus che avvicina la domanda e l’offerta di lavoro, assume una valenza ancora più strategica per il nostro paese.