Alla notizia del voto – contestato e neppure così unanime – per il decreto Ucraina, che contiene l’impegno dell’Italia ad aumentare fino al 2% del Pil le spese militari, in molti al ministero della Difesa, avevano cantato vittoria.
E non ci riferiamo soltanto a generali, colonnelli e a quanti, graduati o meno, vestono una divisa e percepiscono da anni uno stipendio dallo Stato, ma ad una piccola fetta di lavoratori, che forse sarebbe meglio definire para-lavoratori, che in quegli ambienti ci gravitano da anni, fra le pieghe o, meglio, le piaghe del precariato, senza che nessun graduato o ministro di passaggio abbia mai preso seriamente a cuore la loro situazione.
Parliamo della cosiddetta manovalanza, lavoratori a chiamata (senza indennità) ai quali il ministero della Difesa si affida, attraverso cooperative, per svolgere da contratto lavori di facchinaggio che, come abbiamo già denunciato su queste pagine, finiscono il più delle volte per tradursi in tutt’altra attività, a volte pericolosa, certamente non contrattualizzata e pagata a cifre che in altri contesti farebbero parlare di vero e proprio caporalato di Stato.
A questi lavoratori, si apprende dalla scheda di appalto del Ccnl Trasporti Forze Armate, viene affidato il “servizio di manovalanza occasionale ed urgente connessa e non ai trasporti”. Una definizione così generica da consentire ai capi di impartire ordini e mansioni di ogni genere: dalla cura del verde al servizio di lavanderia, dai lavori edili al montaggio e smontaggio mobili, dal vettovagliamento a mensa alla gestione del magazzino.
Tutto ciò avviene in ambienti ministeriali senza che vi siano tutele adeguate per questi lavoratori la cui storia, fino ad oggi, nessuno ha mai avuto voglia di ascoltare e raccontare.
L’appalto del ministero della Difesa è stato assegnato in nove lotti sul territorio nazionale ad altrettante imprese e vede impegnati tra i 500 e i 600 lavoratori. Per loro, si apprende sempre dalle testimonianze anonime, non esiste alcuna programmazione dei turni di lavoro ma vige una richiesta di disponibilità totale a convocazioni senza preavviso e senza indennità di disponibilità.
Il rapporto di lavoro è un Part Time ‘involontario’ al 35% (14 ore settimanali), per una retribuzione oraria riferita di 7,22 euro contrattualmente dovuti ma pagati solo 6,86 euro senza copertura dei primi tre giorni di malattia. A questi lavoratori il Ministero ha imposto l’obbligo di non riferire all’esterno informazioni concernenti l’attività lavorativa. E visto di cosa stiamo parlando, si capisce il perchè molto facilmente.
In questi anni, i sindacati hanno provato a perorare la loro causa. Non ultima una lettera del 29 marzo 2022 della Filt Cgil in cui “si segnala la non corretta applicazione contrattuale del CCNL Fise, della società Cooperativa Coserma, affidataria del Lotto 4, dei servizi di manovalanza, nella quale si evidenzia un importo orario non aggiornato, e fermo al 1/10/2020, nonostante il ccnl Fise di riferimento, prevedeva altri due scatti economici, alle date, 1/10/2021 e 1/1/2022, che ad oggi non sono stati riconosciuti”.
Per questi lavoratori la crisi per il covid e ora per la guerra rischia davvero di compromettere un futuro già precario e complesso. In Senato pochi giorni fa qualcuno ha provato a battere un colpo, facendo votare una mozione, la cui prima firmataria è la senatrice Loredana De Petris, che impegna il governo “a valutare l’opportunità di prevedere opportune modalità di superamento delle condizioni di precarietà dei lavoratori di cui in premessa, in gran parte dipendenti di società cooperative fornitrici di servizi di manovalanza e facchinaggio presso gli Enti, le basi e i reparti dell’Amministrazione della Difesa, anche mediante il loro possibile inquadramento nei ruoli civili di detto Ministero”.
L’aumento delle spese militari è stato quantificato in circa 15 miliardi di euro. Un importo monstre che per la maggior parte dei cittadini, almeno stando ai sondaggi, andava destinato per calmierare l’inflazione, il caro bolletta, e finanziare delle vere politiche di sostegno al lavoro e al reddito.
“Dopo oltre venti anni di precariato, avendo prestato servizio in ogni condizione e svolgendo qualunque tipo di lavoro extra alle mansioni previste dai contratti, ci ritroviamo oggi a non aver ricevuto nessun avanzamento economico, ma soprattutto senza la possibilità, nonostante le tante promesse, di essere assorbiti all’interno del Ministero. Decine di lavoratori precari che alle spalle hanno famiglie e figli da mantenere chiedono risposte urgenti”.
Facchini si nasce, direbbe Totò. Ma come abbiamo già scritto qualche mese fa “che al ministero della Difesa ci siano i caporali non stupisce nessuno. Ma il caporalato sarebbe un’altra cosa”.