Messaggi pubblici e privati più o meno segreti, insieme a foto, chat, conversazioni, profili social e chi più ne ha più ne metta: le informazioni più intime e nascoste sono ormai custodite dentro smartphone, tablet e personal computer, insieme a prove di reato, illegalità e illeciti vari. Una vita ormai digitale, con la conseguente dematerializzazione delle informazioni, sia legali che meno legali. Per questo risulta fondamentale, in sede di indagine di polizia giudiziaria, acquisire le prove degli indebiti direttamente sulle apparecchiature tecnologiche degli indagati, una vera “scatola nera” a disposizione degli inquirenti. Ma anche la possibilità di sbirciare nei telefoni e nei computer deve fare i conti con la privacy degli indagati, e non sempre è facile operare il giusto bilanciamento tra esigenza di giustizia e diritti inalienabili della persona, ancorché sospettato di imbrogli.
Un punto fermo sulle modalità operative da adottare nel caso di sequestro di dispositivi di comunicazione mobile finalizzato all’acquisizione di messaggistica memorizzata sugli stessi (chat, email, sms, mms) arriva dalla Procura Generale di Trento, grazie ad una Circolare che fa chiarezza sulle procedure da adottare.
In estrema sintesi, i dispositivi tecnologici posso essere sequestrati al solo al fine di estrarre i dati negli stessi memorizzati, e vanno immediatamente restituiti non appena eseguita la c.d. copia forense. La polizia giudiziaria, nel sequestro dei dispositivi tecnologici, è necessario che sia tempestiva e precisa, specie nelle operazioni di esportazione dei dati necessari alle indagini, restituendo al legittimo proprietario i device, trattenendo nel fascicolo penale solo i dati strettamente pertinenti al procedimento per non violare la privacy dell’indagato.
L’utilizzazione ai fini delle indagini penali del contenuto di chat, email, mms ed sms memorizzati su un dispositivo tecnologico deve svilupparsi in tre fasi, ad iniziare dal sequestro del dispositivo con l’acquisizione della copia integrale (c.d. copia forense) della messaggistica e la conseguente restituzione del dispositivo; successivamente, i tecnici provvederanno a selezionare e ad estrarre i soli dati rilevanti ai fini dell’accertamento del reato per il quale si procede; infine, esaurite tali operazioni, si procederà alla restituzione all’avente diritto della copia forense e di ogni altra copia dei dati estratti dal dispositivo (o distruzione della copia dei dati riprodotti su qualsiasi supporto informatico diverso dalla copia forense).
Tra i punti toccati dalla Circolare il rispetto del principio di proporzionalità, il quale richiede che «il sequestro sia rigorosamente mantenuto sui soli dati della copia forense rilevanti ai fini delle indagini, in quanto il sequestro probatorio è consentito solo per le cose pertinenti al reato necessarie per l’accertamento dei fatti (art. 253, co. 1, c.p.p.), con conseguente obbligo di estrazione dei soli dati d’interesse e restituzione della copia integrale, perché quando non è necessario mantenere il sequestro a fini di prova, le cose sequestrate sono restituite (devono essere restituite) a chi ne abbia diritto (art. 262, co. 1, c.p.p.)».
Particolare attenzione va prestata alle chat o messaggi con contenuto irrilevante per il processo, cosa che implica, invece,«un’inammissibile ed illecita diffusione di dati che attengono alla sfera personale, intima ed inviolabile di ogni individuo e non è assolutamente consentito, perché comporta, inevitabilmente, fra l’altro, la possibilità di divulgazione di fatti lesivi dell’onorabilità e della reputazione della persona, di dati penalmente irrilevanti che possono, però, risultare devastanti per la vita dei soggetti coinvolti (anche se estranei al procedimento) e che quando riguardano l’attività di operatori economici, rendendo conoscibili know how o strategie riservate d’impresa possono anche alterare l’ordinario andamento del mercato con grave danno per l’economia nazionale o di un determinato territorio, nonché la conoscibilità e tracciabilità di orientamenti politici, tendenze sessuali, convincimenti religiosi, rapporti sentimentali, dati sanitari e altri dati sensibili non solo della persona sottoposta ad indagini, ma anche di soggetti del tutto estranei e persino di minorenni».
Per la Procura deve ritenersi, quindi, che le copie di polizia giudiziaria, sempre che siano effettivamente necessarie ai fini delle indagini, vanno comunque distrutte o restituite all’avente diritto dopo la selezione dei dati probatoriamente rilevanti, con espressa previsione, in sede di conferimento dell’incarico, del divieto di trattenimento di una qualsiasi copia, anche parziale, dei dati memorizzati e analizzati.