Dopo anni di rinvii e dibattiti silenziati la Corte invita il Legislatore a fare la propria parte per garantire i diritti delle persone. Sarà così?
Esiste nel nostro Paese il diritto ad una morte dignitosa o deve prevalere il dovere di chissà quale medico o struttura ospedaliera a lasciare che un malato senza speranze debba rimanere in fondo ad una corsia attaccato a dei macchinari che lo alimentano artificialmente contro la sua volontà? Un quesito che il Parlamento italiano per anni ha deciso volontariamente, in questo caso sì, di non affrontare, voltando le spalle ai cittadini, non solo a chi è in fine vita, e a quella Costituzione sulla quale tutti i deputati giurano prima di prendere posto a Montecitorio.
La sentenza della Consulta pronunciatasi ieri sulla questione di legittimità dell’articolo 580 del codice penale, sollevata nell’ambito del processo a Marco Cappato per il suicidio assistito di Dj Fabo, ha riconosciuto come “non punibile”, a “determinate condizioni”, chi “agevola l’esecuzione del proposito di suicidio, autonomamente e liberamente formatosi, di un paziente tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetto da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche e psicologiche che egli reputa intollerabili ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli”.
Una posizione netta che invita per l’ennesima volta il Legislatore a fare ciò per cui è scelto e pagato dai cittadini: individuare le norme necessarie per garantire l’applicazione dei diritti sanciti dalla Carta Costituzionale. Ma andiamo con ordine. Quella di ieri è una giornata storica e non soltanto per i motivi evidenziati da coloro che sostengono le tesi pro eutanasia a discapito di chi invece ha già provato ad oscurare l’operato dei giudici della Consulta in nome di chissà quale indecifrato complotto. Al netto delle valutazioni di parte, l’elemento a mio parere più grave emerso dalla sentenza è la colpevole negligenza della politica italiana che sui temi etici e sui diritti civili in genere non vuole decidere di affrontare temi importanti sui quali si pesa il livello culturale e democratico di un Paese.
Piuttosto che attaccare i giudici della Corte Costituzionale, i nostri politici dovrebbero correre negli ospedali per rendersi conto dello stato di salute della sanità italiana, ma soprattutto dovrebbero fare un atto di umiltà nei confronti delle migliaia di persone che vivono in silenzio il dramma di una non vita, priva di aiuti e sostegno da parte di uno Stato che troppo spesso lascia gli ultimi sempre più indietro. Questa sentenza entra di diritto nel dibattito politico e ci aspettiamo che occupi uno spazio urgente nell’agenda di governo, tutta presa dalla riapertura dei porti e dalla ricerca di alchimie economiche per rimettere in sesto le finanze del Paese, ma povera di discussioni e dibattiti sul tema invece fondamentale dei diritti delle persone.
L’articolo 3 della nostra Costituzione è la stella cometa che indica la strada. I nostri lettori lo conoscono, ma è bene ricordarlo a chi oggi siede in Parlamento e ha il dovere di colmare le tante storture e lacune che ne impediscono la sua applicazione.
“Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.
E` compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.
Che sia la volta buona?