Non si accennano a placare le polemiche per l’ultima trovata del social network più famoso del mondo: la costituzione di un organismo interno chiamato a giudicare le controversie tra gli utenti e l’ammissibilità dei contenuti. Un ulteriore passo verso la creazione di uno Stato parallelo?
Mark Zuckerberg gioca al rialzo e tira fuori dal cilindro un’altra delle sue. Il fondatore e CEO di Facebook ha reso pubblico, nei giorni scorsi, uno dei suoi più importanti progetti: la costituzione di un Comitato indipendente di supervisione (Oversight board) chiamato a giudicare (e, se del caso, sanzionare) il comportamento di quanti popolano la vita virtuale della celebre piattaforma digitale.
Questo vero e proprio organo giudicante sarà composto da esperti dotati di diverse competenze, ed avrà essenzialmente il compito di valutare l’ammissibilità dei profili e dei contenuti che quotidianamente appaiono sulla piattaforma social, cercando di bilanciare i diversi valori in gioco (libertà di espressione, privacy, dignità umana, reputazione). A tale Comitato potranno rivolgersi gli stessi utenti per capire quali contenuti possono essere ammessi o in caso di “ricorso” contro post e notizie che, prima facie, possano apparire inopportune o lesive del decoro e della verità.
L’Oversight board di Zuckerberg assumerà, dunque, le sembianze di un ufficio paragiudiziario che, in qualche misura, rievoca quei “tribunali di opinione” informali, espressione della società civile (ma non dei poteri costituiti), il cui obiettivo è quello di influenzare l’opinione internazionale e i pubblici poteri.
Il ‘Tribunale’ di Facebook – come provocatoriamente è stato già ribattezzato l’Oversight board – pone un quesito circa la sua reale funzione: è una forma di autodisciplina oppure è una modalità di regolamentazione ‘privata’ delle relazioni sociali?
L’interrogativo non è banale alla luce delle implicazioni decisamente diverse delle due prospettive. Una cosa, infatti, è dotarsi di competenze che possano supportare il social network ad essere compliant con le norme in materia di protezione dei dati, tutela dell’immagine, protezione dei minori, diritto d’autore, diritto dell’informazione. Altro, invece, è creare una forma di regolamentazione delle relazioni e dell’esercizio della libertà di espressione, affidando ad un organismo interno alla casa madre il giudizio su cosa debba qualificarsi come incitazione all’odio o violazione della libertà di parola, cosa sia da ricondurre a satira e cosa invece sia disinformazione, e che, nei fatti, potrebbe tradursi in un sistema di sorveglianza e di censura non sempre giustificati.
I casi di cancellazione dei profili di movimenti politici considerati ‘discutibili’ sotto il profilo politico e morale sono esempi che si pongono sul crinale che divide le due diverse prospettive. È lecito che Facebook possa impedire a tali movimenti di esprimere le loro opinioni per evitare effetti nocivi per la democrazia? O tale decisione dovrebbe essere di competenza di un Tribunale (quello vero, che amministra la giustizia)?
Non sarà dunque semplice, in definitiva, l’attività del futuro Board, riflettendo le proprie decisioni concretamente sulla vita politica degli stati, in un contesto in cui le elezioni si vincono anche (e soprattutto) attraverso i social, e dove i contenuti pubblicati o le immagini proposte plasmano le opinioni.
Si preannunciano già ricorsi contro le future decisioni del tribunale virtuale di Menlo Park. Ma stavolta da discutere in un’aula giudiziaria. Vera.