Si arresta, almeno per il momento, il lancio della prima valuta digitale di Facebook, dopo il niet da parte di tutte le principali istituzioni mondiali. Se ne approfitta la Cina che, nell’incertezza americana, si prepara a lanciare un cripto-yen, anche se l’operazione è avvolta dal più assoluto mistero. Nuovi equilibri finanziari o boutade estiva?
Abbiamo scherzato. Sembra essere questo il grido che, più o meno velato, pare essersi alzato nei giorni scorsi dal quartier generale di Facebook.
Dopo aver presentato alla comunità finanziaria mondiale “Libra”, la prima moneta tutta elettronica, Mark Zukerberg ha annunciato qualche giorno fa che l’ambizioso progetto avviato a fine giugno potrebbe presto finire in un binario morto, bloccando sul nascere ogni velleità finanziaria del social più famoso del mondo.
Il primo grido di allarme al progetto era giunto, a distanza di qualche ora dalla presentazione della rivoluzione monetaria, direttamente da Washington: a sparare ad alzo zero contro il piano del colosso californiano ci aveva pensato Maxine Waters, presidente del Comitato per i servizi finanziari della Camera dei Rappresentanti a stelle e strisce, che aveva richiesto l’interruzione immediata dello sviluppo di Libra. Qualche giorno dopo non è mancato l’affondo del Presidente americano Donald Trump che, senza mezze misure, non aveva esitato a dichiarare che «bitcoin e altre criptovalute non sono soldi e il loro valore è altamente volatile e basato sul nulla», twittando che «Se Facebook e altre compagnie vogliono diventare una banca devono ottenere un nuovo documento di autorizzazione bancaria ed essere soggetti a tutte le regole bancarie, come le altre banche, sia nazionali che internazionali». Un fuoco di fila a cui, anche il meno scaltro avventore digitale, non poteva non tirarne le debite conclusioni.
«L’accettazione di una simile valuta da parte del mercato è soggetta a grande incertezza. Non abbiamo alcuna garanzia che Libra o altri nostri prodotti o servizi simili siano resi disponibili nei tempi previsti o che siano realizzati del tutto» ha scritto la stessa Facebook in una comunicazione indirizzata alla Securities and Exchange Commission, l’ente federale statunitense preposto alla vigilanza della borsa.
Come se non bastasse nessuna garanzia sulla tutela della privacy è stata fornita dall’azienda di Menlo Park in merito alla sua nuova moneta elettronica. Si sono infatti dette «sorpresi e preoccupati» le principali autorità mondiali sulla tutela dei dati personali che, in una nota congiunta, hanno espresso tutti i loro timori circa l’insufficienza di informazioni su come Facebook gestirà i portafogli digitali.
Già LabParlamento aveva sollevato la questione sul rischio di concentrazione di dati personali nelle mani di un unico gestore, soprattutto in ordine all’utilizzo delle informazioni derivanti dalle abitudini di pagamento di ciascun utente da parte della creatura di Zuckerberg.
Rimangono poi ancora da chiarire gli impatti che la nuova moneta avrà – ma a questo punto il condizionale è d’obbligo – sul riciclaggio, potendo le organizzazioni criminali ben pensare di evolvere i propri metodi delittuosi e utilizzare l’innovazione proposta dal social per ripulire capitali illeciti.
Nel frattempo, non curante del possibile dietro-front del progetto del gigante di Menlo Park, anche l’Antitrust UE ha avviato un approfondimento volto a chiarire la presenza o meno di possibili pratiche anticoncorrenziali. L’eventuale sanzione della Commissione potrebbe toccare i 17 miliardi di dollari. Insomma, Libra pare circondata.
Per una moneta che va, una ne viene. È notizia di qualche giorno fa che se Facebook ha deciso di fare un passo indietro, la Cina si appresta a lanciare la propria moneta virtuale di Stato. Dopo cinque anni di ricerche, infatti, la Banca Popolare Cinese ha dichiarato di essere pronta ad introdurre nell’economia del Dragone la prima moneta sovrana realizzata da un governo, da molti considerata un possibile “rifugio sicuro” specie in previsione di una nuova guerra Usa-Cina. Non ci sono ancora ulteriori informazioni al riguardo, cosa che fa sospettare una possibile manovra esclusivamente politica tesa a destabilizzare ancora di più i fragili canali diplomatici con gli Stati Uniti.
Tutto per un pugno di cripto-dollari in più.