Prove di Direzione nel Pd mentre Calenda dà i tempi. Ue: improvvisa tirata d’orecchi…
di LabParlamento
“Governo io, no Governo io”. Se non fosse una questione decisiva per l’evoluzione politica nazionale sembrerebbe un film di Totò. Invece no, è il succo della gara del post elezioni tra Centrodestra e M5S su chi farà il primo tentativo per costituire un nuovo Governo. Ma a chi darà l’incarico il presidente della Repubblica? Alla prima coalizione, il Centrodestra, che ha più voti oppure al primo partito, i Cinque Stelle, che rappresentano ormai buona parte del Paese?
Resta questo il leitmotiv quotidiano assieme, intimamente collegato, a quello della situazione nel Pd in vista della Direzione di lunedì che dovrà decidere i prossimi passaggi interni e tra questi proprio la disponibilità o meno verso il M5S. Perché un fatto è chiaro: se il Pd si arrocca, non c’è accordo che tenga a parte un’intesa (assai difficile) tra M5S e Lega. E, ipotesi “Governo di scopo o del Presidente” a parte, in autunno si torna a votare.
“Se il Pd si allea con il M5S il mio sarà il tesseramento più breve della storia dei partiti politici”, scrive su Twitter il ministro dello Sviluppo economico, Carlo Calenda, che ormai detta i tempi del dibattito interno. Aggiunge: nel Pd il “leader c’è e fa il PDC (il presidente del Consiglio, ndr)”. Chi vuol intendere, intenda… Per poi prendersela con il presidente di Confindustria. “Dopo le elezioni si scoprono molte cose nuove. Ho appreso ad esempio che il presidente di Confindustria, Vincenzo Boccia, non sa chi siano i padri del piano Impresa 4.0 mentre ne rivendica la maternità alla sua associazione. Provo allora a ricordarglielo”. “I padri sono i governi Renzi e Gentiloni che hanno messo 30 miliardi a disposizione delle aziende che investono e che innovano”.
Esce allo scoperto Andrea Orlando: “È stata una mossa brillante dal punto di vista comunicativo spostare il dibattito interno del Pd sul tema delle alleanze, anzi sull’alleanza con i 5 Stelle, oscurando così il tema del risultato elettorale. La discussione tuttavia mostra la corda. Il conto è presto fatto. Il 90% del gruppo dirigente del Pd è contrario ad un’alleanza con il M5S (eccetto Emiliano, ndr). Ed un referendum non serve. Il referendum sul Pd c’è già stato. Siamo al 18%. Un solo punto sopra la lega di Salvini. Alla direzione dobbiamo parlare di questo, delle ragioni profonde di questa disfatta elettorale”. “Bisogna vedere quali saranno le proposte. Cosa vuole fare il M5S? A questo punto la responsabilità non è del Pd. Sta a chi ha vinto dire come intende muoversi”, dice dal canto suo Piero Fassino. “Martina, il vice segretario, è il reggente in pectore”, suggerisce l’ex capogruppo Pd al Senato, Luigi Zanda, parlando a Repubblica. “Dopo una sconfitta così grave, le dimissioni del segretario sono una conseguenza naturale le dimissioni sono una cosa seria e quando si danno devono avere una efficacia immediata”, continua, sottolineando poi come bisogna parlare con tutti “ma confrontarsi non annulla le differenze forti” e, comunque, le porte restano chiuse per la Lega.
Luigi Di Maio oggi scrive a Repubblica (“Voltiamo pagina e cambiamo l’Italia assieme”) dopo aver festeggiato, ieri sera, a Pomigliano d’Arco. Ma non è stata solo una festa, è stata anche un momento politico: «Inevitabilmente siamo proiettati al governo, non solo perché siamo la prima forza, ma perché a differenza di altri che sono un movimento territoriale, e pretendono l’incarico, noi rappresentiamo tutto il Paese». Precisano quindi dal M5S: “Smentiamo, come riportato da alcuni organi di stampa, che ci sia una lista di 10 punti programmatici da proporre agli altri partiti. C’è invece un programma elettorale, pubblico e trasparente, votato da quasi 11 milioni di cittadini». E, nell’attesa, ci si prepara a rafforzare il “volto istituzionale”. Con un occhio al Colle e uno a quanto accade nel Pd.
“Nel rispetto verso gli alleati e dei patti intercorsi – dichiara intanto Silvio Berlusconi – rimango il leader di Forza Italia, sarò il regista del centrodestra, sarò il garante della compattezza della coalizione”. Nessun riferimento tuttavia al passaggio di consegne con Salvini, e nemmeno un riconoscimento ufficiale alla premiership.
Il leader della Lega, Matteo Salvini (a colazione in quel di Portofino con il governatore della Liguria e consigliere politico di Berlusconi, Giovanni Toti) brinda ai nemici di sempre, con un tweet e un post sulla sua pagina Facebook. Un dito puntato, con un sorriso sornione, contro una lista (di proscrizione) di intellettuali e giornalisti che riporta alla mente i primi messaggi di Trump presidente. Uno degli interessati, lo scrittore Roberto Saviano, ha risposto subito con una citazione di Gomorra. Il dialogo ripreso è quello fra Don Pietro Savastano e Ciro Di Marzio nella nota serie tv ispirata all’omonimo romanzo. «Sono io che comando», dice Don Pietro, porgendo al suo interlocutore un bicchiere di vino in cui ha appena urinato e aggiungendo: «Bevi, fammi capire se mi posso fidare di te». Come polemica del clima post elettorale non c’è male, soprattutto in vista del dopo.
Saluta e torna a Strasburgo Antonio Tajani. “Intendo continuare a fare il Presidente del Parlamento europeo, non ho mai fatto campagna elettorale. Ho sempre anteposto l’interesse del Parlamento europeo a qualsiasi altra cosa. Certo poi sono anche un parlamentare europeo eletto nelle liste di Forza Italia”. Mentre si ridesta Bruxelles, tanto per mettere il punto. La Commissione europea ha presentato infatti la valutazione della situazione economica e sociale, delle riforme strutturali e degli squilibri degli Stati membri nell’atteso ‘pacchetto d’inverno del semestre europeo’, illustrato in una conferenza stampa dal vice-presidente della Commissione, Valdis Dombrovskis, e dai commissari Marianne Thyssen e Pierre Moscovici. In Italia, dicono, si registrano “squilibri eccessivi”, tra cui alto debito e una protratta bassa produttività che comporta rischi di “implicazioni transnazionali, in un contesto di crediti deteriorati ancora elevati e disoccupazione”. Il debito “si stabilizza ma ancora non ha imboccato un percorso di ferma discesa a causa del deteriorarsi del saldo strutturale”, e lo slancio delle riforme “è in qualche modo rallentato”. Come dire, vi aspettiamo al varco.